UN PIANO NAZIONALE PER LA TELEMEDICINA
On. Vito Scalia *
Prendo volentieri la parola per formulare alcune considerazioni
di ordine politico perché altrimenti finiamo soltanto con il parlare
di una tecnologia che però ha bisogno di affermarsi anche con la
politica.
Anzitutto desidero ringraziare l’ASMI ed il dottor Bernardini,
della cui amicizia mi onoro, per questo Convegno che, a mio avviso, rappresenta
un momento molto importante di sviluppo non soltanto nel campo dell’informazione,
ma anche nel campo del rapporto che si stabilisce.
Devo dire subito che parto dalla realtà della
presenza di una magnifica tecnologia.
La tecnologia ha ormai raggiunto un grado di sviluppo
e di ottimizzazione che credo non abbia bisogno del mio elogio e della
mia enfasi ed è certamente progreditissima, anche nel campo della
telemedicina
Questo fa dire all’amico Sassu che Internet diventa un
punto di snodo essenziale tra la domanda e l’offerta.
Il problema che si pone, a mio avviso è tipicamente
italiano, perché vi è una serie di difficoltà e di
remore che fanno sì che allo stato attuale delle cose di telemedicina
si possa parlare solo in modo virtuale, di un mercato virtuale e non di
un mercato reale.
Anzitutto abbiamo una carenza assoluta di norme.
Diceva poco fa l’ingegner Cristina Mazzoleni che la deontologia
italiana prevede soltanto il rapporto faccia a faccia medico-paziente.
Ebbene, abbiamo un’assoluta carenza di norme, di regole
in materia di telemedicina; e non esiste disciplina che possa svilupparsi
se non ha un minimo di norme sulle quali basarsi, soprattutto in una materia
nella quale c’è un rapporto di responsabilità civile e penale.
Infatti non si sta parlando di una qualsiasi materia di scarso impegno,
stiamo parlando di medicina, quindi di un rapporto che si stabilisce tra
medico e paziente che dà luogo a delle responsabilità.
In secondo luogo, anche le stesse norme sulla privacy
in definitiva hanno finito con il diventare un elemento di cristallizzazione,
perché evidentemente tali norme non sono state costruite immaginando
quale sarebbe stato lo sviluppo della tecnologia, ma nel momento stesso
in cui venivano legiferate dal Parlamento, per cui riflettono una situazione
che non ha subito gli sviluppi che avrebbe dovuto subire.
Un altro problema è rappresentato dagli standard.
È assurdo pensare che allo stato attuale di tecnologia
la telemedicina non abbia standard uguali che omogeneizzino la materia;
che facciano sì che l’apparecchio di telecardiologia di una casa
produttrice sia uguale a quello dell’altra casa produttrice.
Tutto questo ha fatto sì che in materia di telemedicina
si siano sviluppate moltissime sperimentazioni. Abbiamo un’abbondanza di
sperimentazioni e di progetti pilota. Ne cito soltanto alcuni: lo Shared,
che ha permesso alla Alenia Spazio di collegare il San Raffaele di Milano
con l’ospedale di Sarajevo; il Progetto isole, che permette a Napoli di
collegarsi con Ischia e Procida; il Progetto di PA e CF, che permette di
archiviare, restituire, consultare immagini, dati e referti degli ospedali
di Trieste. Mi riferisco all’esperimento di Genova, che ha dotato il servizio
118 di otto autoambulanze, di due macchine per il monitoraggio e la trasmissione
dei dati del paziente nel tragitto verso l’ospedale; ed ancora, la sperimentazione
dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma per il monitoraggio
di 50 bambini cardiopatici.
E potrei esemplificare ancora, non dico all’infinito,
ma certamente molto, perché la Telecom Italia ha condotto tante
sperimentazioni, la Aethra ha condotto delle sperimentazioni per progetti
pilota, ma siamo sempre ai progetti pilota, siamo alle sperimentazioni,
siamo alle isole, manca l’arcipelago.
Questo è il punto essenziale che a me interessava
rilevare.Manca l’arcipelago in un Paese nel quale purtroppo abbiamo la
realtà di una carente situazione sanitaria.
La cosiddetta “mala sanità” non la ho inventata
io, essa deriva anche da una mancata definizione delle competenze In questa
materia, quali sono le competenze della Regione e quali le competenze della
Nazione?
Guardiamo la difforme situazione della sanità
che si riscontra in alcune grandi città; al problema della difforme
attuazione del 118, che in Piemonte è perfetto, in Lombardia funziona
molto bene, in Puglia non esiste, in Sicilia funziona male. Questo significa
che evidentemente non abbiamo avuto uno sviluppo armonico del sistema sanitario
nazionale.
Stando così le cose, noi – mi riferisco all’IMTES
diretto dal dottor Ernesto Pascale e che io ho l’onore di vicepresiedere
operativamente - ci siamo posti alcuni problemi.
Un primo problema riguarda l’ottimizzazione dei servizi
sanitari, che non può essere compiuta dalle ASL o dai medici, ma
da chi presiede alle istituzioni, il Ministro per primo.
Tra l’altro, a proposito del Ministro, per la prima volta
nel Piano Sanitario Nazionale viene usato il termine “telemedicina”, termine
ignorato dai ministri che nel tempo si sono succeduti forse perché,
non avendone dimestichezza, preferivano ignorarlo.
Occorre quindi, innanzitutto, provvedere all’ottimizzazione
dei servizi sanitari per permettere di poter applicare questo servizio
on
line.
Inoltre, si deve pensare ad una modifica e modernizzazione
dei modelli tradizionali di assistenza domiciliare che ancora oggi si basa
su una struttura cooperativistica.
Un adeguamento ed un ammodernamento dell’organizzazione
di questi modelli tradizionali diventa un fattore importante.
Non si può poi prescindere dal coinvolgimento
dei medici di base, da collegare in rete nazionale evitando i pericoli
dell’autoreferenzialità. Vedo in questo un pericolo grave. La telemedicina
è una materia pluridisciplinare, che pretende la competenza del
medico, del bioingegnerie, del sociologo, dell’economista. Guai a voler
affrontare un argomento del genere soltanto in maniera monodisciplinare.
Il coinvolgimento dei soli medici di base e la mancanza di norme incentivano
fatti speculativi, perché mancando le norme e le regole certe, ciascuno
si regola come vuole, si cimenta in questo campo così come preferisce.
Sarebbe pure opportuno pensare alla creazione di una
rete per le malattie rare e per quelle croniche, come ad esempio le cardiopatie
e le malattie senili.
Si potrebbe parlare a lungo, ma concludo dicendo che
dobbiamo sperare che le istituzioni nazionali e regionali siano più
coscienti degli sviluppi che si possono introdurre in materia di qualità
della vita attraverso questo servizio on line che si chiama telemedicina.
Si deve provvedere ad interconnettere le istituzioni
nazionali con quelle regionali.
Non dimentico che, federalismo o non federalismo, l’avvenire
delle Regioni in materia sanitaria sarà comunque sempre più
pregnante, sempre più invasivo, sempre più incisivo, ed è
giusto che sia così. Ma guai a separare le istituzioni regionali
dalle istituzioni nazionali, perché è un collegamento che
deve essere mantenuto.
Tutto questo mi spinge ad auspicare che in materia di
telemedicina si abbia la realizzazione, attraverso un coinvolgimento multidisciplinare
di esperti, come dicevo un momento fa, di un Piano nazionale che passi
per una preventiva stesura di norme e di regole, ma che poi tracci una
via e faccia sì che le isole, quelle di Napoli, di Sarajevo, non
rimangano tali.
Basti pensare a tutto quello che sarebbe possibile fare
in materia di telemedicina con territori a noi vicini come l’Africa settentrionale
e il Medio Oriente. Potremmo fare delle grandi cose in materia di teleconsulti,
di teleanalisi, di telemonitoraggio, e così via.
Sono convinto che occorra arrivare ad un Piano sanitario
nazionale di telemedicina.
Uscendo un po’ dal seminato mi sono permesso di dare
un apporto concreto e pratico anche di carattere politico perché
mi pare giusto che, pure parlando di un campo specifico come quello medico,
a responsabili della stampa italiana, si usi un linguaggio verità
che permetta non soltanto di vedere i progressi, ma anche gli ostacoli
non dico insormontabili, ma certamente presenti sulla nostra strada. Vi
ringrazio per l’attenzione.
* IMTES Istituto Mediterraneo per la
Telematica in Sanità
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