FORUM P.A. 2002 (Fiera di Roma 6-10 maggio
2002)
Convegno in collaborazione con ASMI
"LA COMUNICAZIONE PUBBLICA IN SANITA'"
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INTERVENTI
Paola ADINOLFI
Insegno Organizzazione delle aziende sanitarie all'Università
di Salerno. Volevo fare due osservazioni.
La prima è che, per la mia modesta esperienza,
mi sembra che il problema principale, rilevato studiando aziende sanitarie
di diversi paesi europei per una ricerca comparativa che abbiamo fatto,
non è tanto quello del comunicare perché, bene o male, tutte
le aziende, anche di altri paesi, hanno tutte un ufficio preposto alla
comunicazione; tutte sono in grado di comunicare all'utente: non solo fare
cronaca, ma anche dare comunicazione sui servizi, sulle strutture, anche
se limitatale proprie e non ad altre strutture sanitarie, come sarebbe
stato utile.
Tutte, bene o male, avevano una carta dei servizi, anche
se quasi tutte la lasciavano nel cassetto perché non arrivava all'utente;
tutte avevano un ufficio, paragonabile all'URP, che svolgeva anche compiti
di ascolto, per cui tutte, o quasi tutte, asoolvono compiti di customer
satisfaction, rilevazione di ascolto dell'utente attraverso personale on-line
o attraverso l'analisi dei reclami.
Quella che mi è sembrata una grossa lacuna, il
problema che accomunava un po' tutte le aziende, era la mancanza dell'agire,
nel senso che non si utilizzano le informazioni derivanti dall'analisi
dei reclami, dall'analisi della customer satisfaction, dalle common cards,
per introdurre cambiamenti volti a migliorare la qualità del servizio
stesso o a prevenire problemi.
La maggiore carenza mi sembra sia proprio questa, più
di quella comunicativa, perché, bene o male, nella comunicazione
quasi tutte si sono in qualche modo attrezzate. Il problema vero è
che la comunicazione non è uno strumento utilizzato per agire.
La seconda osservazione è: quale può essere
la forza di traino che può portare veramente a un'innovazione, da
dove può venire la leadership per un'innovazione reale nel fare?
Non può venire, secondo me, dall'interno delle
aziende sanitarie.
Non può venire dall'ambiente politico perché
i politici sono interessati all'apparenza.
Basta che l'azienda sembri moderna perché ha l'URP,
perché ha l'Ufficio Stampa; poi non interessano i risultati perché
piuttosto vi è interesse a intromettersi nella gestione perché
tutto serve per gestire il consenso politico.
Non può venire, secondo me, neanche dalla classe
medica, perché i medici, culturalmente, non sono abituati a utilizzare
l'informazione come strumento per migliorare il servizio; semmai sono interessati
all'aspetto della qualità clinica.
Non può venire neanche dai dirigenti perché
sono mediatori degli interessi politici professionali.
Può, invece, venire solo dall'utente. E per venire
dall'utente un ruolo forte deve essere svolto dagli Uffici Stampa che devono
comunicare anche i diritti degli utenti, cioè devono sensibilizzare
gli utenti su quelli che sono i loro diritti.
E’ quindi in questo senso che si deve riconoscere un
ruolo molto forte agli Uffici Stampa: non solo per comunicare cosa sono
le idee, ma quali sono i diritti e le procedure per far rispettare i propri
diritti.
Grazie.
Rosaria MAGLIO
Lavoro in una ASL di Napoli, la Napoli 5, e lavoro ad
un servizio relazioni con il pubblico.
Mi sembra giusta l'analisi che ha fatto Paola Adinolfi.
Mi sembra corretta per quanto riguarda l’aspetto della
comunicazione e quello relativo alla qualità percepita, nel senso
che vengono fatte una serie di indagini sulla soddisfazione dell'utenza.
Volevo aggiungere una cosa come strumento di ritorno
e di partecipazione del cittadino per rispondere anche a Giacomelli del
Centro per i Diritti del Cittadino.
Nella nostra azienda, la ASL Napoli 5, abbiamo creato
una commissione mista consultiva e partecipativa. Questa commissione si
riunisce periodicamente - ha un presidente delle associazioni, in quanto
all'interno di questa commissione sono presenti una serie di associazioni
– e, ogni anno, diamo i risultati del monitoraggio dei reclami e dei questionari
delle indagini sulla soddisfazione dell'utenza.
E’ questo, secondo me, uno degli strumenti partecipativi
che dovrebbe entrare a far parte di ogni ASL perché attraverso questo
strumento abbiamo avuto l'opportunità di modificare alcune cose,
ad esempio il funzionamento della mensa e, quindi, tutta la parte della
soddisfazione relativa al vitto negli ospedali. Sono state rifatte le gare
e sono state introdotte le modifiche.
Sembra poco, ma se cominciamo da questi strumenti, sono
degli strumenti di reale partecipazione del cittadino. E secondo me questa
è una cosa che bisogna ricordare, e lo dico soprattutto per le associazioni
dei consumatori, che potrebbero premere proprio in questa direzione.
Gaetana COGNETTI
Sono la responsabile dei Bibliotecari Documentalisti di
Sanità.
Esiste una sponda, che purtroppo nel Servizio Sanitario
Nazionale non c'è e che all'estero è elemento essenziale
di informazione per gli operatori e i cittadini ed è costituita
dalle biblioteche biomediche.
È stato fatto uno studio negli ospedali di Rochester,
pubblicato tra l'altro e citato dagli Annali di Medicina Interna in cui
si dice che, intervistati i medici di questo ospedale, il 19% della mortalità
dei pazienti era stata evitata grazie al ricorso alla biblioteca ospedaliera.
La certezza della diagnosi si era avuta attraverso la biblioteca ospedaliera.
Quando nell'URP arriva il paziente e chiede un'informazione
di tipo sanitario, quale informazione gli si dà?
Il medico spesso ha informazioni parziali, specialistiche;
possiamo inseguire tutti i medici specializzati?
Esiste oggi in Internet, e sono tra l'altro gratuite
grazie a un grosso sforzo del governo americano che ha reso gratuita
la più grande banca dati prodotta da una biblioteca biomedica che
è il Medline, la consultazione di riviste divulgative.
In Italia manca un contenitore di informazione per i
pazienti in lingua italiana.
Io ho tutto in lingua inglese, quando viene il paziente
gli posso anche spiegare che cos'è quell'elemento del sangue che
non va e trovo materiale divulgativo per i pazienti, ma non trovo materiale
in lingua italiana per chi non conosce l'italiano.
Abbiamo fatto un censimento sulle strutture informative
del Servizio Sanitario Nazionale (biblioteche e centri di documentazione):
ebbene, su 250 biblioteche censite e su 500 unità di personale che
lavorano all'interno delle biblioteche, solo il 39% ha background bibliotecario,
una formazione bibliotecaria.
La legge 150 ci ha ignorato, come ci ignorano tutte le
leggi e le normative che invece dovrebbero costruire una struttura informativa
bibliotecaria, che lavora in collaborazione con gli uffici stampa perché,
secondo me, bisognerà andare verso un dipartimento dell'informazione
e della comunicazione che raggruppi tutti gli operatori.
E’ passato il tempo – e in questo la legge ha avuto il
merito di dirlo – in cui si riteneva l'informazione un fatto che chiunque
poteva fare.
Io che ero specializzata in biblioteconomia ricevevo
dai medici l'input su come organizzare la biblioteca. Questa è la
realtà che avevamo.
Ritengo sia importante che ci sia questo sforzo comune
di tutti gli operatori.
Ecco perché abbiamo firmato con molto piacere
questo ‘Protocollo d'intesa’ con l’ASMI e spero che altri operatori professionali
entrino in questo discorso perché le URP da sole non possono gestire
l'informazione e gli uffici stampa neppure: anche noi interveniamo nell'informazione.
Non si può andare in una banca dati e ricavare
100.000 articoli con molte informazioni che sono nessuna informazione;
bisogna anche sapere come si utilizzano le banche dati per avere proprio
quello che è utile e che serve all'operatore.
Moderatore
Ringrazio per questi interventi che hanno evidenziato
diversi aspetti dell’informazione istituzionale.
Non si può certamente dimenticare o ignorare e
trascurare la possibilità che un ufficio stampa istituzionale oltre
a comunicare all'esterno i servizi che si offrono possa assolvere
anche al compito di ricevere le richieste e dare poi risposte mirate ha
chi ha fatto le richieste.
Torno a quella distinzione che esiste tra un'informazione
di tipo sociale, da quella che invece può essere la necessità
di rispondere a una richiesta personale: credo che sia un’impostazione
che possa essere accettata.
Molto più ampio e impegnativo è l'aspetto
sollevato dalla dottoressa Cognetti: purtroppo siamo ancora alle ipotesi
con una prospettiva densa di incognite.
Il Ministero della Salute sta preparando il Dipartimento
dell'Informazione e si sta ristrutturando, ma è anche vero che per
la legge 150, come per tutta l’organizzazione della sanità abbiamo
ascoltato dichiarazioni che fanno riferimento al federalismo e ad una possibile
deregulation conseguenza anche dell’influenza del colore politico, delle
esigenze locali, delle possibilità offerte dall’autonomia decisionale.
Ci sono gli Enti Locali, le Regioni che possono agire
autonomamente rispetto agli orientamenti del ministero e anche del governo
centrale e quest, obiettivamente, può motivare grosse difficoltà.
Anche se il dibattito, come gli interventi, si sono dimostratimi
estremamente interessanti, temo fortemente, anzi sono convinto che non
sia questa la sede per individuare e tanto meno suggerire possibili soluzioni.
Oggi ci siamo prefissati di parlare di comunicazione
pubblica in sanità, della Legge 150 e degli accorgimenti da mettere
in atto affinché, attraverso il Regolamento si possa realizzare
o una sanatoria o una formazione di personale che dovrà operare
nelle previste strutture rispondendo ai presupposti di una specifica particolare
preparazione richiesta per la Pubblica Amministrazione in sanità.
Se sarà realizzata una centralizzazione al Ministero
della Salute di un Dipartimento per la comunicazione, ricordo soltanto
la più volte accennata richiesta dell’ASMI e la disponibilità
per la istituzione di un Osservatorio Permanente per l'Informazione Medico-scientifica.
Potrebbe essere una risposta a molti degli interrogativi
sollevati.
Propongo di concludere il nostro Convegno dando la parola
per una breve replica a Di Benedetto che vuole parlare delle biblioteche
e a Giacomelli che come rappresentante dei cittadini vuole fornire
alcune precisazioni sulle valutazioni dei ritorni di giudizio da
parte dell'utenza.
Per le biblioteche credo personalmente che dovremo organizzarci
anche utilizzando Internet con criteri di garanzia di sicurezza, di serietà
e di controllo del sito per evitare quel rischio di ‘ingovernabilità’
che è proprio di Internet e con una centralizzazione d'informazione
che preluda ad uno smistamento mirato e controllato che favorisca
una consultazione che eviti di ‘navigare’ da un sito all’altro (oggi di
‘correre’ da una biblioteca all'altra) alla ricerca di informazioni che
poi spesso non si riescono a trovare.
Pasquale DI BENEDETTO
Per motivi professionali mi trovo spesso a discutere con
colleghi sulla differenza tra l'ascolto e il sentire. È talmente
ampio il discorso, che ho voluto puntualizzare in maniera chiara determinate
cose cercando di sintetizzarle, evidentemente l'ascolto non è stato
esaustivo.
Il discorso sulla informazione – e in un passaggio ho
parlato di informazione in maniera empatica - nei confronti del cittadino
che si riferisce ai nostri servizi aziendali.
Empatico che cosa vuol dire? Cercare di capire che cosa
vuole il cittadino, quali sono i suoi primari interessi per quanto riguarda
l'informazione.
Il tutto contestualizzando l'ambiente nel quale opera
il mio ufficio stampa, il grado di alfabetizzazione del target a cui io
mi riferisco.
Se ho ritenuto opportuno, a fianco di altre attività
d'informazione, descrivere a quei poveretti che hanno 50, 60 anni, che
cosa è un pronto soccorso attivo, un DEA di secondo livello, perché
gli hanno tolto il reparto e lo hanno messo in un altro ospedale, è
per cercare di non far sentire quel senso di abbandono del cittadino preso,
sbattuto di qui o di là, senza che lui sia partecipe di quanto sta
succedendo.
Se ho ritenuto opportuno dire al cittadino utente che
cosa prevede la legge 626 e perché il suo ospedale è in cantiere,
senza fargli cadere in testa la mannaia di questa legge che gli ha soppresso
un'ala dell'ospedale, oppure addirittura glielo ha chiuso, momentaneamente
per due anni, per l'adeguamento alle norme di sicurezza, è perché,
empaticamente, ho sentito che il cittadino stava soffrendo ulteriormente
un altro disservizio.
E allora, proprio per non farlo diventare vittima di
sensazionalisti attacchi giornalistici su quello che non funziona, sugli
ospedali che sono dei cantieri, e quindi evitare nel cittadino utente quella
forma di scoramento totale, per fargli sentire che l'azienda è vicina
spiegandogli perché si è chiuso quell'ospedale momentaneamente,
ritengo che anche questa è una forma di informazione che tiene conto
delle esigenze del cittadino.
Ivano GIACOMELLI
Mi spiace si sia allontanata la signora della ASL Napoli
5 perché rispetto a quanto ha detto ho un cruccio: questa storia
delle commissioni miste conciliative è nata, purtroppo, da un'idea
della nostra associazione.
All'epoca ero già il Segretario nazionale dell'Associazione
e molti volevano sperimentare questo sistema. Tra gli altri il professor
Carlo Anao, comune amico nostro e, nel caso della ASL Napoli 5 fu il mio
rappresentante Gianni Spasiano a portare avanti questa idea della Commissione
mista conciliativa. Personalmente ero contrario, ma poiché si trattava
di un'opinione qualificata, decisa dall’associazione, in qualità
di suo rappresentante l’hò fatta applicare.
Andando avanti col tempo ho avuto solo la soddisfazione
di dire: l'avevo detto.
Avevo detto che cose di questo genere non funzionano.
Devo ringraziare la dottoressa Adinolfi, è assolutamente
vera l'analisi che lei ha fatto. Questa compartecipazione, cogestione,
commistione è inutile per il cittadino.
Non esiste, in una teoria di mercato, il concetto che
si concili.
Che cosa si concilia? O il servizio funziona o non funziona.
Per questo ho i miei dubbi, nonostante comprenda non
solo la buona fede, la professionalità del collega quando dice che
va data un'informazione imparziale, trasparente e quant'altro; io continuo
a dire che stiamo in una logica completamente diversa. Io ricevo un'informazione
tra le tante informazioni. Naturalmente questa informazione più
è qualificata, nel senso che ha dei fondamenti scientifici, ed è
anche accreditata dal soggetto che emana questa informazione, più
è credibile.
Perché le associazioni di utenti hanno più
credibilità rispetto ai politici? Nell'opinione comune si sa bene
che i politici ragionano con determinate logiche, le associazioni di utenti
e consumatori (almeno nella ipotesi, perché poi cattivi funzionamenti
all'interno dell'organizzazione ci sono, io sono sempre il primo a fare
il critico nei nostri confronti), hanno maggiore credibilità perché
il cittadino sente il difensore, o quanto meno ha questa figura di difensore,
e quindi lui dice la verità.
Non sempre è vero.
Lui dice comunque una verità di parte.
Il cittadino deve essere messo di fronte a una serie
di informazioni credibili, dove per credibili faccio riferimento alla qualità,
dopo di che sceglie: qualche volta sceglie bene, qualche volta sceglie
male.
Soluzioni migliori, a oggi, non ne vedo. Così
come in passato ho difeso l'idea che non esiste un'ipotesi di conciliazione
in quel senso.
E’ stato giustamente ricordato lo scarso risultato della
Carta dei Servizi anche in Inghilterra, dove è nata; è rimasta
lettera morta anche là, dove il paese anglosassone ha un ordinamento
giuridico ben diverso dal nostro, molto più efficace da questo punto
di vista.
Bisogna dire la verità. Anche lì, come
negli altri paesi: in Belgio, in Spagna, tutti questi strumenti non funzionano.
L'unico strumento che funziona è lo strumento
forte,
giudiziario, dove si arriva a imporre a quella determinata USL di dare
quel determinato farmaco. Questa è la mia opinione sulla quale potete
anche non essere d'accordo.
È però necessario che chiarisca il mio
punto di vista, senza correggerlo.
E aggiungo questo elemento, sempre nel pieno rispetto
delle rispettive personali opinioni.
I direttori generali non sono altro che rappresentanti
di alcune fazioni politiche.
I direttori generali sono designati dal partito di maggioranza
o da una delle sue fazioni; una volta questa operazione veniva chiamata
spartizione, oggi è visibilità. Comunque in realtà
il direttore generale risponde non sulla funzionalità dell'azienda,
e quindi sul bisogno del cittadino che viene risolto, ma in funzione di
quella fazione politica, per quell'uomo politico.
Dopo di che le associazioni, come già dicevo prima,
hanno due strumenti: una quella dell'opinione pubblica, che ha efficacia
sul politico perché a lungo andare toglie consenso politico; l'altro
strumento, vi piaccia o meno, è solo quello giudiziario. |