Francesco Angelo SIDDI
Aggiornamento professionale e risvolti contrattuali
A questi problemi si può ovviare attraverso una formazione vera, che parte dalla considerazione che ormai è cambiato tutto nel settore dell'informazione. Falleri ha ricrdato chiaramente qual è la realtà e come si presenta oggi: è cambiato il livello culturale, non solo dei lettori ma di tutti i cittadini; la scolarizzazione di massa ha prodotto effetti notevoli, ha cambiato completamente lo scenario rispetto agli anni in cui venne fatta la legge ordinistica, quella del '63 per cui si poteva diventare professionisti (e ancora oggi è così) anche solo con la terza media, facendo un esamino integrativo presso gli ordini regionali e poi, se superato quell'esamino che in genere con larghezza si supera o si fa superare, si poteva arrivare a diventare professionisti, ovviamente a condizione che ci fosse un editore che nel frattempo ti avesse assunto e offerto un posto di lavoro. Quindi i problemi erano diversi. Oggi sono rarissimi i casi di professionisti che arrivano a diventare tali con questo percorso. La gran parte ci arriva dopo aver frequentato sicuramente una scuola superiore e quasi sempre anche l'università e avere conseguito una laurea. Fra qualche tempo – noi pensiamo anche in tempi brevi – bisognerà essere laureati, non solo perché c'è il progetto di riordino degli ordini professionali, che sicuramente porta verso questa strada, non solo perché c'è stata ieri la sentenza del Consiglio di Stato che ha riconosciuto definitivamente la valenza dell'esame di Stato dell'Ordine come esame che accerta una qualificazione professionale, ma anche perché lo stesso Ordine sta arrivando alla conclusione che l'accesso alla professione, quella dei colleghi che svolgono questa attività in maniera esclusiva, continuativa e non solo prevalente, deve avvenire previo corso universitario successivo alla laurea breve o master. È questa una delle ipotesi che si sta ancora discutendo, il progetto dell'Ordine sta per essere licenziato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine, ma non basta, occorrerà che il Parlamento faccia la legge, altrimenti occorrerà che nel frattempo l'Ordine proceda, per via regolamentare, alla luce anche delle sentenze che assumono carattere giurisprudenziale, a introdurre quegli elementi di aggiornamento che si ritiene essenziali e che risultino possibili anche col quadro normativo attuale. Nel progetto di riforma dell'Ordine, così come nei progetti del sindacato, la formazione è un punto centrale. Siamo stati accusati dai colleghi più garantiti di aver voluto privilegiare questo aspetto negli ultimi contratti rispetto anche agli stipendi, dimenticando che sugli stipendi esiste una cornice limitata, stretta, che riguarda i giornalisti come tutte le altre categorie di lavoratori da quasi dieci anni, quella derivata dalla politica dei redditi che stabilisce che i contratti si fanno in ragione degli indici del costo della vita, in ragione di tutta una serie di fattori sui quali si discute con le controparti (editoriale, pubblica e così via) ma si può discutere se un certo fattore viene considerato fattore di costo del personale oppure no, per registrare gli scostamenti dello 0,5 o dell'1%, ma l'aspetto economico è quasi sempre già orientato dalla cornice di quello che è stato l'accordo sulla politica dei redditi, speriamo di cambiarlo perché ormai è insufficiente e superato, ma sui contratti ci siamo dovuti dedicare agli aspetti normativi: gli aspetti che riguardano i diritti dei giornalisti nei luoghi di lavoro, di espressione, di organizzazione e gli aspetti della formazione. Sono dei concetti rimasti finora quasi fermi, nel senso che non hanno prodotto effetti pratici reali, nel senso che non sono stati messi a punto progetti di formazione ricorrente e di aggiornamento continuo come dovremmo cercare di fare sempre di più, anche nelle redazioni, non solo rispetto agli uffici stampa, ma il fatto che siamo riusciti a portare in normativa contrattuale questi capitoli, io credo sia importante. È un tassello che serve per considerare che c'è un punto dal quale partire e sul quale innestare una attività vera di formazione, di aggiornamento e altro rispetto alla quale dovremmo trovare i convincimento di tutti: dei colleghi che non accettano più lo scambio della monetizzazione, della formazione, la formazione nei giornali è prevista, è prevista nel contratto, ma da anni quasi sempre non si fa perché in cambio si vende, si ottiene una piccola somma di integrativo. I più seri comprano libri, li leggono, mettono in piedi una sorta di politica di formazione, altri li utilizzano per i consumi più generali e così via. Se vengo allo specifico, al capitolo che riguarda noi e al tema che mi è stato dato, invece, la formazione diventa un fatto centrale, se vogliamo anche obbligato da ciò che la legge prevede. Ma anche qui, prendendo spunto dalle critiche che giustamente ha fatto Falleri, alla legge e anche alla direttiva del Ministero della Funzione Pubblica dobbiamo dire che la formazione che prevede la legge è la formazione relativa a quei colleghi che stanno e lavorano da anni nella Pubblica Amministrazione, svolgendo un'attività reale, di fatto, ma non hanno avuto il modo di diventare giornalisti professionisti perché non c'era il bollettino, non c'era un giornale, non c'era una redazione, molti di essi non sono neanche pubblicisti (e questo a mio giudizio è un problema aperto) e prevede che questi colleghi possono restare a questi posti previa formazione. E questo è il punto che sta diventando un punto molto delicato. Io ho personalmente un'opinione critica rispetto a una parte di un'attività che noi stiamo facendo come sindacato, perché ci sono spinte e controspinte sull'attuazione della legge 150 e sembra in questa fase che il capitolo che interessa di più la pubblica amministrazione e una parte di colleghi è orientato verso un'ipotesi di business. Diciamolo con molta franchezza e anche autocritica. A parte qualche area imprenditoriale, formativa o meno, è il business della formazione. Se la formazione è il momento centrale di arricchimento, di preparazione, di sviluppo, di adeguamento della professionalità è una cosa, se la formazione diventa un capitolo necessario a riempire una posta di bilancio dalla quale attingere per distribuire incarichi e fare un po' di clientele e sistemare alcune posizioni strategiche, al Formez o ad altri centri, non ci serve più di tanto, stiamo perdendo di vista lo scopo della legge, lo scopo per il quale noi combattiamo da decenni (Falleri più di me, ma anche io da quasi 30 anni con lui) per una definizione giuridica normativa, un riconoscimento contrattuale dei giornalisti degli uffici stampa come giornalisti a pieno titolo, di primo livello della nostra professione. Se passa questa linea avremmo fallito lo scopo e la legge, che già ha dei buchi, già presenta dei problemi, si rivelerebbe una legge che non va bene. Credo che la chiarezza sia necessaria e sia giusto dire con franchezza queste cose, perché siamo nella fase in cui tutta la spinta che c'è intorno alla Federazione e intorno all'Ordine è per firmare convenzioni che abilitino questo o quell'altro istituto a fare formazione, e a fare la formazione degli uffici stampa. È una situazione che sta diventando incredibile, ma anche incresciosa, perché sta accadendo che non arrivano convenzioni e accordi. Nessun accordo finora è stato firmato perché riteniamo che bisogna accordarci prima su quella che è la formazione, su quali sono i programmi, su cosa ci vogliamo mettere e anche su chi li fa, la lezione chi la tiene, con quali criteri, quali sono i docenti, che titoli hanno e così via. E quindi stiamo frenando le cose, ma abbiamo visto che in alcune realtà ci si muove lo stesso, le cose vanno avanti. Alcune università hanno messo in piedi master e altri corsi per coprire vuoti che hanno in alcune cattedre; qualche istituto privato, collegandosi con amministrazioni pubbliche sta promovendo iniziative simili; il Formez sta pressando ogni giorno la Federazione, il Ministero della Funzione Pubblica e l'Ordine perché vorrebbe addirittura l'esclusiva, cosa che vedo anche abbastanza problematica, se devo esprimere un'opinione di merito, perché non possiamo pretendere che gli addetti stampa di Milano, di Trieste vadano a Roma, Napoli e Cagliari dove c'è il Formez. E’ la stessa legge, oltre tutto, che dice che dovrebbe essere la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Certamente avere previsto un canale di recupero di quei colleghi che a pieno titolo sono addetti stampa, ma che potrebbero non essere riconosciuti tali era una cosa giusta, ma c'è il rischio che nel frattempo, fatta la legge, trascorso ormai tanto tempo dalla legge, in alcune amministrazioni si siano introdotti in questo canale dei colleghi che colleghi non sono e che rischiano di emarginare chi invece con fatica, capacità e competenza per anni ha svolto questa attività. Abbiamo ricevuto denunzie di colleghi che hanno lavorato per anni nelle USL, da quando le USL sono nate, e che col cambio dei direttori generali nell'ultimo anno sono stati allontanati, spostati a fare altre attività e nel frattempo sono stati destinati a essere non titolari. Rischiamo di trovare questi ultimi a fare i corsi e non altri. Su questo dovremmo trovare un accordo con i sindacati generali e anche con i lavoratori interessati, che segnalino queste realtà, che ci consentano di intervenire con attività di denunzia non giudiziaria, ma politico-sindacale per riportare le cose a posto. In alcune realtà abbiamo già fatto delle diffide, il sindacato è attivo e presente su questi temi. In linea primaria questo compito spetta all'Associazione regionale della stampa; in linea secondaria alla Federazione nazionale per i casi più gravi o comunque come supporto è a disposizione per le attività di tutela e ovviamente i gruppi di specializzazione che riescono a monitorare queste realtà, segmento per segmento, sono pregati di essere molto attenti, se possono e di segnalare, di aiutarci in quest'opera di monitoraggio, anche perché appunto l'applicazione della legge, che già presenta dei problemi non diventi più problematica anche perché ci sfuggono queste situazioni. La formazione però, ripeto, resta e deve essere un punto centrale; deve esserlo per tutti i giornalisti, deve esserlo sempre di più anche per gli operatori degli uffici stampa, perché possano svolgere con indipendenza la loro attività, perché questo è il punto: al servizio della pubblica amministrazione, parlando di sanità pensiamo certamente anche agli addetti stampa delle case farmaceutiche, dei centri di ricerca e così via; pensiamo moltissimo alla pubblica amministrazione e in particolare alle ASL. Io credo che questo settore è così delicato, che sia non solo indispensabile ma anche utile che questi organismi abbiano gli uffici stampa e che questi uffici stampa siano gestiti correttamente da giornalisti qualificati e, aggiungo, preparati. Il fatto che Ordine e Federazione negli ultimi tempi stiano trovando una grande convergenza che nel passato non c'era, può aiutare a realizzare insieme dei progetti di formazione, che possono essere fatti anche con centri e istituti specializzati, con tutti i crismi di quella formazione che irrobustisce la preparazione culturale, che irrobustisce le competenze, che irrobustisce la deontologia, perché il capitolo principale che a noi interessa, credo debba essere quello della deontologia professionale, perché questa non si acquista per caso ed è l'elemento centrale. Sul piano contrattuale, invece, io non do grandissime notizie né tantissime buone notizie. Il cantiere – se dovessi usare il linguaggio della politica – è aperto, nel senso che da mesi abbiamo iniziato un dialogo preliminare con l'Aran e con il Ministero della Funzione Pubblica; la trattativa vera e propria non è ancora cominciata e ancora non si capisce bene quando potrà cominciare perché prima di tutto è stato necessario accertare che la Federazione della Stampa e il Sindacato dei giornalisti sarebbe stata abilitata a trattare il contratto. Su questo punto abbiamo, a questo momento un primo risultato raggiunto ma non definitivo né definito nel senso che quando pensiamo all'amministrazione pubblica, occorre pensare all'Aran e la legge per i dipendenti pubblici stabilisce che trattano i sindacati che abbiano almeno il 5% dei dipendenti pubblici associati. È evidente che i giornalisti non saranno mai il 5% della popolazione dipendente del sistema pubblico. Noi non ci arriveremo mai. Noi stiamo affermando che la legge dice che per i giornalisti degli uffici stampa si deve andare in un'area contrattuale specifica, e questa area contrattuale chi la deve coltivare se non il sindacato di quella categoria che si rifà ad un ordine professionale, ad una legge dello Stato che riconosce chi è giornalista e chi no? Su questo punto c'è un contrasto in parte anche con i sindacati, che sta creando grossi problemi alla Federazione della stampa e al sindacato giornalisti in questo momento, che una parte dei colleghi della Federazione della stampa ritiene siano superati e superabili attraverso un agreement con i sindacati generali e magari con uno scambio di tessere o di doppia tessera. Personalmente sono contrario, così come molti di noi. Ieri abbiamo fatto una Giunta su questo capitolo, dopo l'intervista di Cofferati al Corriere della Sera e devo dire che tutte le correnti sindacali presenti hanno detto no a questa ipotesi, però l'organismo esecutivo della Federazione ha rinunciato a fare una pronuncia formale per evitare uno scontro aperto con i sindacati confederali in questo momento e cerca di tenere un dialogo aperto sul piano istituzionale.
Noi dobbiamo trovare una strada. Il prossimo convegno che faremo a Napoli è per cercare di trovare questa strada e per mettere al centro questi temi, che sono i temi della specificità, della specialità non di una ricerca di privilegio corporativo, ma dell'espressione di diritti e di garanzie, che sono le garanzie di un'informazione libera, di un'informazione corretta, proposta da operatori professionali qualificati, che deve assicurare a tutti una sorta di certezze. Le informazioni che arrivano dagli uffici stampa devono essere più certe, se vogliamo più corrette di quelle che danno i giornali, perché devono essere informazioni di carattere primario, i giornali possono fare le interpretazioni, gli uffici stampa no: devono dare le notizie e su questo punto devono assicurare la massima correttezza. Questo deve entrare tutto nel contratto, il contratto deve fornire la cornice di garanzie che assicuri una serietà e anche una tranquillità nel lavoro ai colleghi, una dose significativa di certezze ai colleghi che nei giornali e nei media ricevono quelle informazioni e le devono trattare per offrirle al grande pubblico. Noi crediamo che questa sia la strada migliore; crediamo che col gruppo di specializzazione il rapporto possa e debba intensificarsi in questo senso e speriamo anche, piano piano, di aprire qualche porticina, anche se non tutto quello che appare davanti alle nostre finestre, in questo momento appare così limpido e chiaro.
Moderatore Ringrazio il Presidente della Federazione della Stampa, so che il dottor Del Barone deve allontanarsi, lo ringrazio ancora e penso che abbiamo completato la prima parte di questo nostro convegno. La sottolineatura, se è il caso che io possa fare delle sottolineature a quanto ha detto il dottor Siddi, è ancora quello di arrivare a dei corsi di formazione, e in questo è anche giusto ricordare che l'ASMI, proprio per uno dei suoi fini istituzionali che ho anche riportato nel comunicato di presentazione, ha il compito proprio di promuovere e favorire il necessario aggiornamento specialistico negli iscritti per migliorare le loro capacità di comunicazione e per poter meglio contribuire alla tutela del diritto che ogni cittadino ha di essere correttamente informato. Stiamo parlando di sanità, il dottor Del Barone si è allontanato, ma colgo anche in questa situazione un nesso, un parallelismo con quanto accade nel mondo medico e nel mondo del giornalismo. Ho sentito parlare tranquillamente da Siddi, lo riprendo e lo faccio mio, di business della formazione e immediatamente ho pensato anche a quello che sta accadendo in campo sanitario per quello che riguarda l'educazione continua del medico, con tutto quello che anche questo fiorire dei corsi di
Altro elemento importante è quello della indicazione, in questi siti, di un Comitato scientifico e di chi ne fa parte. Credo che siano dei consigli basilari, elementari e li ripeto oggi qui perché, tutto sommato, non mi dispiacerebbe che, nell'ambito della pubblica amministrazione sanitaria, dove si creeranno degli uffici stampa e dove, per l'informazione al pubblico sicuramente, ed è giusto, è opportuno, si dovrà ricorrere a tutti i moderni mezzi informatici, compreso Internet, si tenga presente anche di questo suggerimento per il quale l'ASMI è disponibile, così come è disponibile per l'Ordine dei giornalisti, per l'Ordine dei medici e per la Federazione della stampa a partecipare a quegli eventuali corsi di formazione. Come gruppo di specializzazione della Federazione della stampa credo che ne potremmo avere quasi un diritto di primogenitura, per chi dovrà essere impegnato o sanato – se possiamo passare questo termine – nel compito di responsabile o addetti agli uffici stampa della pubblica amministrazione in campo sanitario. Naturalmente non voglio invadere campi che non sono di competenza dell'ASMI. Avevo parlato in precedenza dei progetti obiettivo del Piano sanitario, per quanto riguarda gli uffici stampa in sanità avevo detto che i progetti erano due che chiamavano in causa la comunicazione e chi meglio di Giacomelli potrà aiutarci a entrare in quello che prevede il progetto n. 9, che investe direttamente la comunicazione pubblica sulla salute, perché prevede come obiettivo, la promozione di stili di vita e la prevenzione. Do senz'altro la parola a Ivano Giacomelli. |
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