Logo Asmi
Testata Asmi
FORUM P.A. 2002 (Fiera di Roma 6-10 maggio 2002)
Convegno in collaborazione con ASMI
"LA COMUNICAZIONE PUBBLICA IN SANITA'"

Gino FALLERI
Vice Presidente Consiglio Interregionale dei Giornalisti del Lazio e Molise
Presidente Giornalisti Uffici Stampa

La Legge 150/2000 e il Regolamento applicativo


Gino Falleri

Gino Falleri

Penso che sia doveroso ringraziare il Forum della Pubblica Amministrazione e l'associazione della Stampa Medica Italiana, presieduta dall'amico Mario Bernardini, per aver voluto organizzare, qui a Roma, un convegno per confrontarci su argomenti di grande caratura, che interessano non solo la collettività. Argomenti che costituiscono la materia prima dei discorsi di tutti i giorni di coloro che frequentano le stanze delle istituzioni giornalistiche. E attraverso i quali è possibile farsi una idea sul grado delle cognizioni che si hanno, sulle preoccupazioni insorgenti e sulle delusioni. Ringrazio, inoltre, nella mia veste di presidente nazionale per l'invito rivolto al Gruppo Giornalisti Uffici Stampa, il GUS, che sull'affrancazione dell'Ufficio Stampa, quale fonte autonoma dell'informazione e quindi soggetto del moderno sistema dei media, ha al suo attivo una lunga attività di servizio.
Attestata, per la storia, dai numerosi e propositivi convegni organizzati a Saint Vincent, Spotorno, Spoleto, Roma e Palmi, nonché dalle ricorrenti iniziative congressuali. L'ultima, a 
novembre dello scorso anno, in occasione del XXIII congresso della Federazione nazionale della stampa svoltosi a Montesilvano. Soprattutto per il contributo fornito alla proposta di legge Frattini e alla proposta di legge Frattini - Di Bisceglie. 
Il tema generale scelto per questo incontro, "La comunicazione pubblica in sanità", è senz'altro di attualità per le notizie, alcune sensazionali ed altre sconvolgenti, che vengono sottoposte all'attenzione ed alla valutazione di chi usufruisce dei vari media, che l'attuale tecnologia ci offre. Consente pure di poter analizzare e soppesare, sulla base degli spazi e dei tempi che la carta stampata o la radiotelevisione dedicano e riservano al pianeta sanità, quanto sia importante per la società contemporanea la comunicazione su di un argomento di grande caratura quale è appunto la salute. 
Nello stesso tempo l'importanza e la rilevanza dell'argomento proposto forniscono lo spunto per inquadrare ed allargare il campo, rievocare i primi passi e fare qualche considerazione e riflessione. Un metodo attraverso il quale si potrebbero ristabilire delle gerarchie, al fine, di ridare al mondo giornalistico quello che è suo da tempo immemorabile e spesso viene dimenticato. Senza nulla togliere a nessuno. Ognuno al proprio posto. Il confronto delle idee, la dialettica e l'analisi possono quindi costituire l'idonea piattaforma per spendere anche qualche parola sui verbi " Comunicare " ed " Informare ". Stabilire quale dei due possa essere il prevalente. E questo se si considera che i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, comprese le testate ori line, non sono altro che strumenti nelle mani dei giornalisti. Senza la loro professionalità, la mediazione ed i rischi cui spesso vanno incontro ben poco il cittadino saprebbe su quanto accade intorno a lui. Il nostro tema è " la comunicazione pubblica in sanità ". Sarebbe stato più opportuno titolarlo l'informazione pubblica in sanità. A mio parere è più rispondente alla legge ordinistica e a chi, in definitiva, è il dominus di tutto quanto viene messo in pagina o canalizzato per radio e per televisione. E' vero che ci sono i comunicatori. Ma con quali mezzi e strumenti propri comunicano? Sono nella stragrande generalità soggetti ai media ed i media sono gestiti dai giornalisti. Loro hanno un dialogo bidirezionale e la Rete. 
Quale la conclusione, dunque? 
L'informazione medico-scientifica, intesa come divulgazione e quindi alla portata di vasti strati di lettori o radioteleascoltatori, non vanta molta anzianità. Per acquisire precise indicazioni si dovrebbe fare riferimento agli storici del giornalismo del dopoguerra. Non si è comunque in errore se si sostiene che i primi esempi siano stati offerti dai periodici femminili in edicola negli anni Cinquanta e l'informazione affidata a titolati specialisti. Per comprendere il ritardo, rispetto ad altre materie si potrebbe prendere a prestito una affermazione di Antonio Gramsci. In uno dei suoi testi affermò che avevamo avuto per molto tempo una "denutrizione scientifica". 
Solo nel decennio successivo il Giornalismo medico-scientifico ha incominciato a trovare prima collaboratori, poi redattori ed infine proprie pubblicazioni. Per meglio comprendere il perché della "denutrizione" è bene ricordare quanto ebbe a scrivere Tullio De Mauro, professore di Filosofia dei Linguaggio all'Università La Sapienza di Roma: "La poca informazione scientifica era compromessa dal terrorismo terminologico: rigorosamente scientifico e di conseguenza altamente incomprensibile". 
Si deve scrivere per la gente comune. Il linguaggio dovrebbe sempre essere ergonomico, alla portata di tutti, e non esoterico. L'incomunicabilità è una delle ragioni per le quali la vendita dei quotidiani è altalenante. Siamo intorno a 6 milioni di copie. 
Abbiamo accennato che il tema proposto dagli organizzatori consentiva di poter allargare il campo e di conseguenza forniva la possibilità di soffermarci su di un aspetto che interessa, da vicino, i giornalisti. Interessa poiché non esiste ancora una omogeneità di vedute sulle prospettive future, c'è più di una perplessità, si pensa inoltre che le aspettative sull'annoso problema degli uffici stampa siano state in parte deluse e c'è infine non poca preoccupazione per quanto è accaduto dopo il convegno su "Stampa e Potere", organizzato a Palermo, alla metà dei passato mese di marzo, dalla locale Associazione della Stampa e dal GUS Sicilia. 
Tutto al contrario della Regione Molise che ha invece imboccato, senza riserve, la strada dei pubblici concorsi. E' di questi giorni il bando per due posti di addetto stampa per la Presidenza del Consiglio. Ma ci sono pure amministrazioni su base elettiva che non pubblicizzano. 
L'apparato burocratico pubblico, è sotto gli occhi di tutti, è in fase di trasformazione. Sta lentamente uscendo fuori da leggi, regolamenti e circolari vetuste, che ne facevano una macchina farraginosa e poco ossequiente ai diritti costituzionali del cittadino. 
Prima degli anni Novanta tutto, o quasi, era coperto dal segreto ed il cittadino, che è il titolare dei potere di delega politica, era purtroppo considerato solo un gradino al di sopra dei suddito di monarchica memoria. La burocrazia concedeva. I provvedimenti degli anni Novanta gli stanno ridando quello che in una società democratica, civile e moderna gli spetta. Comunque, c'è ancora molto da fare. 
Il processo inverso, grazie alle iniziative dei responsabili del Ministero della Funzione Pubblica, ed in particolare di Franco Bassanini, comincia con la legge dell'8 giugno del 1990, la numero 142. Con essa viene fissato l'obbligo per le istituzioni pubbliche di comunicare. Un provvedimento legislativo seguito due mesi dopo dalla legge 241, con la quale il legislatore ha sancito il principio che gli atti della pubblica amministrazione debbono essere trasparenti e chi ha chiesto qualcosa ha il diritto di visionare tutto ciò che lo riguarda. A cominciare dall'essere informato sul nome dell'impiegato o del funzionario a cui è stato affidato I"esame della sua richiesta. 
Un processo evolutivo durato un decennio e che ha il suo apogeo, per quanto interessa i giornalisti, ma solo per una piccola parte di essi, con la legge 150 del 2000, quella relativa sulla "Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni". Applicabile a tutti gli otto comparti in cui è appunto organizzata la Pubblica amministrazione. Con essa, inoltre, è stato riconosciuto il diritto del cittadino di vedere soddisfatte le sue domande di informazione. 
Con una siffatta legge si afferma, in maniera chiara e per la prima volta, il diritto di cittadinanza degli uffici stampa nel mondo dei media, sino allora considerati una specie di terra di nessuno. E si stabilisce, senza possibilità di dubbio, che le attività d'informazione, per dare corpo ed autorevolezza al sinallagma offerta e domanda sono riservate solo e soltanto ai giornalisti. Tutto questo nel rispetto della legge dei 1963 sull'Ordinamento della professione di giornalista, sebbene il citato provvedimento parlamentare non sia stato condiviso da molti e sia stato pure oggetto di un ricorso alle autorità dell'Unione europea e di un intervento dell'Antitrust. 
La legge 150, nonostante qualche voce difforme e gli esempi volti ad aggirarla, ha riscosso un consenso quasi generale ed è un punto di riferimento. Le ragioni sono molteplici. 
La prima è rappresentata dalla circostanza, fondamentale, che costituisce un caposaldo dei nuovi scenari informativi che si stanno schiudendo; in secondo luogo rivaluta, o consente di far uscire dal “sottoscala”, come qualcuno ha voluto dire, una forma specialistica di giornalismo, che sino allora aveva contribuito non poco all'elevazione socio- politica della gente, ma non aveva ricevuto nessun sigillo; in terzo luogo si allaccia a quanto hanno legiferato le regioni fin dal primo momento: l'informazione, innanzitutto. Tutto doveva e deve essere come una casa di vetro. Alla vista di tutti. 
Esiste anche una diversa chiave di lettura e prende consistenza dalla figura dei giornalista delle istituzioni di cui dirò prima di concludere.
Nello stesso tempo l'intervento del legislatore ha coronato le aspettative e l'impegno, a volte non sempre conosciuto, di non meno di due generazioni di giornalisti e su di essa erano state legittimamente riposte molte speranze, soprattutto sul piano occupazionale. Un obiettivo, quest'ultimo, su cui il GUS ha richiamato spesso I"attenzione, che per la sua posizione di referente degli addetti stampa, aveva il termometro della situazione.
Basta ricordarsi i titoli a scatola apparsi sui giornali di categoria. Purtroppo, almeno per ora, non sembra che sia così. Eppure la nostra categoria registra un alto tasso di disoccupazione e di precariato. Situazione stigmatizzata da Paolo Serventi Longhi, segretario generale della Fnsi, nel "Libro bianco sul lavoro nero", e recentemente da Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, nel confronto a 360 gradi con l'Ordine dei giornalisti del Veneto e la locale Associazione della stampa.
Nonostante la non rosea situazione i vertici del nostro sindacato hanno al riguardo una differente opinione, che non è facile condividere ed inoltre far comprendere. Al fine di meglio mettere a fuoco non si può omettere di ricordare quanto è emerso nel corso di una riunione del Dipartimento Uffici Stampa della Fnsi, tenutasi il giorno successivo all'ottimo convegno organizzato a Siena nel febbraio 2001 dal GUS Toscana, con la presenza di Vannino Chiti, allora sottosegretario alla Presidenza dei Consiglio dei Ministri. Convegno che aveva lo scopo di sollecitare il Governo a varare il regolamento di esecuzione della citata legge in forte ritardo.
La battaglia per gli uffici stampa, a detta dei massimi rappresentanti dei governo federale in quella riunione, era stata ingaggiata per far iscrivere all'INPGI, che non è più ente pubblico, chi lavora in tali uffici, e iscritto all'albo e non gode dei contratto di lavoro giornalistico. Per la completezza dell'informazione è opportuno accennare che il contratto deve ancora venire e non sembra proprio che l'ARAN sia sulla stessa lunghezza d'onda del sindacato. Tanto è vero, a riprova di quanto accennato, la convocazione a Napoli per il 18 maggio di una assemblea nazionale dei giornalisti degli uffici stampa. 
Il regolamento di esecuzione, cari amici, ha fornito, nella quasi generale sorpresa, la chiave di lettura della posizione che aveva assunto, o dovuto assumere, il sindacato e si deve, purtroppo, prendere atto che la difesa degli interessi e delle aspettative di tanti giornalisti, se c’è stata, non ha fornito i risultati sperati. 
Diciamo subito che il regolamento predisposto dal Governo, per la cronaca spicciola, non può essere condiviso per una somma di ragioni. Innanzitutto la legge sancisce che gli uffici stampa rientrano nella competenza dei giornalisti. Invece il governo, nella prima attuazione, conferma l'esistente. Chi è privo del titolo professionale può frequentare un corso di formazione e poi tutto è a posto. Anche se il codice penale e la legge ordinistica affermino che nessuno può esercitare una professione se non è in possesso dei relativi titoli professionali. E' uno dei tanti misteri del nostro paese. 
Quali potrebbero essere le prospettive? 
A parte il caso della Regione Sicilia, esiste una legge regionale migliore della 150 assieme a delle difficoltà applicative, la situazione generale presenta non poche incertezze. Buona parte di esse scaturiscono dalla discrezionalità che hanno gli amministratori di dotarsi o no di un Ufficio Stampa ed, a seguire, dalle ragioni di bilancio. Niente Ufficio Stampa se non c'è stato un preventivo stanziamento. Un tale motivo preclude l'applicazione del contratto giornalistico, dando invece spazio a contratti atipici quali la collaborazione, la consulenza e nel migliore dei casi il part time. 
Purtuttavia c'è un interesse da parte degli enti locali, a piccola dimensione, di avvalersi della professionalità di giornalisti, che sappiano costruire una corretta immagine dell'ente stesso, forniscano una quotidiana informazione, programmino campagne volte a coinvolgere i cittadini nella gestione pubblica, siano di supporto nella gestione dei rapporti con i media e siamo infine validi consulenti nel fissare le linee strategiche della comunicazione. Sull'esempio degli Spin doctors. 
Questo, cari amici e colleghi, è il quadro nudo e crudo della situazione. La legge 150, a mio parere, è la legge per le attività dei comunicatori pubblici, approvata con il forte appoggio della Fnsi e la collaborazione dei GUS. Il legislatore non ha ritenuto di dover attribuire alle competenze dei giornalisti il delicato incarico di Portavoce. Chiunque lo può assolvere. 
Poiché il piatto delle doglianze è abbastanza colmo, qualche riflessione, qualche considerazione, anche in via ipotetica, penso che debba farsi. Può essere da insegnamento. Dobbiamo guardare al futuro e pensare a quali collocazioni per i giornalisti che lavorano negli uffici stampa. Per gli addetti stampa, che costituiscono nella professione una specializzazione di notevole caratura. 
E' sotto gli occhi di tutti come la nostra professione stia cambiando. Gli organici delle redazioni si assottigliano mentre cresce il numero di chi lavora in via autonoma e parimenti le iscrizioni all’INPGI 2. Nello stesso tempo aumenta anno dopo anno il numero complessivo degli iscritti all'albo. Il praticantato tradizionale è sostituito dalle cosiddette dichiarazioni di ufficio: i Consigli dell'Ordine surrogano i direttori dei giornali, si sostituiscono con delle istruttorie da valutare ed iscrivono nel registro dei praticanti. All'ultima sessione per l'esame di idoneità professionale si sono presentati in 600. Poi c'è il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti che ha la sua parte quando assolve la giurisdizione. 
Per chi non lo sapesse in Italia gli iscritti all'albo, professionista e pubblicisti, sono più o meno 75 mila: più che in Gran Bretagna, Irlanda inclusa, Francia e Germania, che presentano situazioni editoriali più stabili delle nostre.
Ma il mercato può assorbire un così rilevante numero di professionisti?
E' la formazione, l'aggiornamento a fare la differenza. Ad essere l'arma vincente. Non lo sostiene il GUS, ma lo affermano le pubblicazioni delle Università americane di giornalismo. Sia per Columbia Journalism Review che per la American Journalism Review tutto, d'ora innanzi, dovrà ruotare intorno ad una alta qualificazione professionale, che è assicurata, oltre che dalla personale cultura, da requisiti formativi, dal rispetto dei canoni etici e dalla competenza nella ricerca su internet e su database. Per concludere una piccola annotazione, anche se non è per niente marginale. 
Un Gruppo di specializzazione, ricco di polivalenti professionalità, come è appunto il GUS, che ha al suo interno tre anime professionali, potrebbe avere più di un motivo per domandarsi se non possa essere il caso di pensare in maniera autonoma per la difesa dei propri interessi, che alle volte non vengono compresi appieno. Come peraltro la professione, allo stato attuale, viene esercitata dagli iscritti ai due elenchi dell'albo e nessuno dei due è prevalente rispetto all'altro. 


Moderatore

Ringrazio Gino Falleri e intanto do il benvenuto al dottor Siddi, Presidente della Federazione della Stampa che, reduce da un viaggio di rappresentanza in Cina, ha trovato il tempo per venirci a trovare. 
Devo dire che l'intervento di Gino Falleri è tecnico, è puntuale, riguarda gli uffici stampa in generale, come del resto mi aspettavo, ma introduce degli elementi che sono comunque d'interesse e di particolare attenzione anche per quello che saranno e che sono già nella realtà gli uffici stampa esistenti in campo sanitario.
E si ricollega al discorso fatto prima dal Presidente dei medici: è un discorso di qualificazione, di professionalità, che si traduce in quello che è il leit motiv della sanità di questi giorni, di questi mesi, di questo nuovo corso storico della sanità italiana, quello della qualità. Esiste una qualità dell'informazione. È stato ricordato prima: la semplicità del parlare, è stata usata la parola "terrorismo terminologico". Ebbene, una delle caratteristiche della qualità dell'informazione è proprio quella di rendere comprensibile, facile, alla portata di tutti quelli che possono essere i messaggi anche di contenuto scientifico, più delicatamente impegnativi. Basti pensare oggi a tanti termini che spesso possono sembrare di difficile comprensione (genoma, mappa genetica, mutazione, 
eterozigote, monozigote, fecondazione assistita, testamento biologico ed anche direi la differenza tra eutanasia e accanimento terapeutico, con un confine così difficile e così mal delimitabile), ma questo ci porta a quelli che sono i discorsi che fanno di un denominatore comune le due professionalità: quello di essere delle professionalità ad alto, altissimo contenuto etico perché sono rivolte, eticamente, a un pubblico vasto, multiforme dove ogni componente di questo pubblico multiforme ha una sua esigenza.
Il medico ha il vantaggio di poter essere, nel rapporto 
Francesco Angelo Siddi e Gino Falleri
Francesco Angelo Siddi e Gino Falleri

 
medico/paziente interlocutore unico, 1 a 1; il giornalista questo vantaggio non ce l'ha. Però sono certo e sono convinto che chiunque faccia del giornalismo di informazione, e in particolare di informazione medico-scientifica, nel redigere l'articolo ci mette un qualche cosa che mentre informa tutti, si rivolge a qualcuno in particolare, perché sicuramente tra i suoi lettori ci sarà qualcuno che di quell'argomento è particolarmente interessato e partecipe.
A questo punto darei senz'altro la parola al dottor Siddi che, come Presidente della Federazione della Stampa, può sicuramente collegarsi al discorso di Gino Falleri che porta a quelli che sono i problemi della formazione del giornalista – e io aggiungo del giornalista medico-scientifico – e che in questo momento, al di là di quella che sarà la formazione e la preparazione che ritengo peculiare per chi sarà chiamato a svolgere un'attività di informatore, di giornalista negli uffici stampa, nella pubblica amministrazione, riguarda anche la prospettiva del lavoro giornalistico in generale, in questo clima di riforma delle professioni, di riforma dell'accesso alle professioni, partendo da una qualifica di base universitaria, quindi diversamente da quanto avveniva in passato; di quelle che sono le prospettive delle scuole di giornalismo e di quelle che saranno poi, secondo un mio parere, e questo è un parere del tutto personale, la necessità anche nel giornalismo di arrivare a delle forme di specializzazione dell'informazione. Oggi il giornalismo è un giornalismo tout court, chiunque è giornalista è giusto e ha il diritto di informare e di fare cronaca di informazione, e in questo modo faccio una domanda a Siddi, ne discende forse l'esigenza di arrivare ad un giornalismo specializzato per le varie situazioni e, conseguentemente – Presidente della Federazione della Stampa Italiana – forse l'opportunità di andare a prevedere anche in campo contrattuale qualche diversificazione. E questo ci riporta a quanto diceva anche Falleri delle prospettive contrattuali di chi lavorerà negli uffici stampa della pubblica amministrazione.



TORNA AL PROGRAMMA

TORNA ALLA HOME PAGE DELL'ASMI


TORNA ALLA HOME PAGE
DE "IL NUOVO MEDICO D'ITALIA"


Webmaster: B. J.