Giornate italo—romene
di gastroenterologia e cultura
Dal 12 al 18 giugno si sono svolte le ‘Giornate italo—romene di gastroenterologia
e cultura, nell’ambito delle quali è stata svolta una relazione,
affidata al Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Rosario
Ocera sul tema ‘La cultura della salute nei mezzi di informazione’
L’ASMI ringrazia il dott. Ocera per le parole di stima e apprezzamento
con le quali ha voluto ricordare l’impegno dell’Associazione e per
il consenso alla pubblicazione integrale della relazione.
LA CULTURA DELLA SALUTE NEI MEZZI DI INFORMAZIONE
Il rapporto tra la cultura della salute e i mezzi di informazione poggia
su alcuni punti essenziali che in Italia trovano riscontro in leggi dello
Stato, in concrete iniziative degli organismi di categoria dei giornalisti
(in particolare, l’Ordine e il Sindacato) e, ovviamente, in una incisiva
azione dell’Associazione della Stampa Medica.
In questo ambito possiamo distinguere due grossi filoni di intervento:
uno, che potremmo definire limitativo rispetto alla generalità delle
libertà costituzionalmente garantite a tutti i cittadini, e quindi
anche ai giornalisti; l’altro, che potremmo definire di promozione, di
ausilio, di sviluppo delle conoscenze in campo medico che di giorno in
giorno si susseguono e che, con le dovute specificità e finalità,
vanno portate a conoscenza e degli operatori della sanità e della
generalità dei cittadini. Più in particolare ci si intende
riferire alla stampa di servizio, per quanto riguarda l’informazione agli
operatori della sanità, e alla stampa, specializzata e non, che
nel quotidiano si rivolge alla gran massa generalizzata dei lettori.
Il mondo dell’informazione, e per esso l’Ordine nazionale dei
giornalisti, che è il massimo organo di autogoverno della categoria,
si è posto il problema di come regolamentare, per quanto possibile,
la delicata materia del trattamento dei dati cosiddetti sensibili alla
luce anche di una specifica legge nazionale, la n.675 del 31.12.1996, sulla
tutela della privacy e così il 3 agosto 1998, con la pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale, è entrato in vigore in Italia il Codice
deontologico, promosso ed approvato all’unanimità dal Consiglio
Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, e riguardante – come accennato –
il trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Il tutto si può considerare il risultato di un ampio dibattito
e di un lavoro accurato – come si è espresso il presidente dell’Ordine
Mario Petrina nel presentare il Codice – svolto dall’organismo professionale
per conciliare due diritti, entrambi costituzionalmente garantiti: la tutela
della dignità delle persone e il diritto all’informazione. Il Codice,
nonostante le accese polemiche che si sono estrinsecate specialmente in
alcuni ambienti giornalistici, è nato dalla profonda convinzione
che un giornalismo maturo – ha ancora affermato Mario Petrina – non può
che vivere assumendosi le responsabilità che gli sono proprie, fra
le quali, prima di tutto, la riaffermazione di garanzie per i cittadini
destinatari dell’informazione contro una malintesa cultura dello scoop:
lo scoop a tutti i costi, costi quel che costi.
Ed è proprio su questa consapevolezza che si basa il Codice
deontologico che non è da considerare espressione di una volontà
liberticida, ma, al contrario, strumento di lavoro dei giornalisti in quanto
chiarisce in modo inequivocabile quali sono gli eventuali limiti o le modalità
rispettando le quali il giornalista svolge un’attività in linea
con le leggi dello Stato, con le esigenze della professione, con l’etica,
con la deontologia professionale.
Con riferimento al discorso che stiamo sviluppando, non possiamo non
soffermare la nostra attenzione sull’art.10 del Codice deontologico e che
così recita “Il giornalista, nel fare riferimento allo stato di
salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta
la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale,
specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare
dati analitici di interesse strettamente clinico. La pubblicazione è
ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione
e sempre nel rispetto della dignità della persona se questa riveste
una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica”.
Provenendo il Codice deontologico dall’Ordine dei Giornalisti e, quindi,
trovando la sua legittimità e il suo fondamento nella legge n.675
del 1996 (quella sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto
al trattamento dei dati personali), ma anche nella legge n.69 del 1963
(quella istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti), leggi che sono entrambi
fonti di grado primario, è evidente che le violazioni del Codice
deontologico da parte di giornalisti possono essere legittimamente punite
dall’Ordine professionale in riferimento, anche, alla disciplina generale
dettata dall’art.2 della stessa legge istitutiva.
E’ ovvio che le sanzioni possono essere applicate solamente nei confronti
dei giornalisti in quanto si tratta di una espressione dell’autodichia
di un soggetto autarchico, ma solamente nel caso che tali violazioni costituiscano
inadempimenti dei doveri posti a carico del giornalista, come l’obbligo
di rispettare la verità sostanziale dei fatti, di lealtà
e di buona fede, di rettifica, di rispetto del segreto professionale, e
soprattutto quello “di osservare le norme di legge a tutela della personalità
altrui”, senza, in ogni caso, che si possa giungere a un sindacato sull’attività
di pensiero del giornalista.
E mentre rimane assolutamente esclusa la configurabilità dei
giudizi disciplinari da parte dell’Ordine nei confronti di soggetti ad
esso estranei, in ogni caso i giornalisti possono essere sottoposti anche
a procedimenti sanzionatori da parte dell’Autorità di Garanzia.
Esiste, cioè,un doppio regime di sanzioni, quello del Garante sulla
privacy e quello dell’Ordine, diretta conseguenza della natura del Codice
deontologico quale “atto atipico a partecipazione complessa”.
Ancor prima della emanazione del Codice deontologico, e precisamente
l’8 luglio 1993, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti e la Federazione Nazionale
della Stampa avevano approvato “La Carta dei doveri del giornalista”. Tale
“Carta” non è stata assorbita dal “Codice “ deontologico, ma continua
a vivere e ad essere applicata autonomamente in uno alla Carta di Treviso
relativa a “Informazione e minori” e al “Protocollo sull’informazione e
pubblicità”. La violazione delle regole contenute nelle due “Carte”
e nel “Protocollo”, e che integrano lo spirito dell’Art. 2 della legge
istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, comporta l’applicazione delle norme
contenute nel titolo III della stessa legge, ovvero delle sanzioni disciplinari.
Con particolare riferimento alla Carta de iDoveri del giornalista,
c’è da dire che al capitolo ”minori e soggetti deboli” così
si legge: “il giornalista tutela i diritti dei malati, evitando nella pubblicazione
di notizie su argomenti medici un senzazionalismo che potrebbe far sorgere
timori o speranze infondate”. In particolare: non diffonde notizie sanitarie
che non possano essere controllate con autorevoli fonti scientifiche; non
cita il nome commerciale di farmaci e di prodotti in un contesto che possa
favorire il consumo del prodotto; fornisce tempestivamente il nome commerciale
dei prodotti farmaceutici ritirati o sospesi perché nocivi alla
salute. Il giornalista s’impegna comunque a usare il massimo rispetto nei
confronti dei soggetti di cronaca che per ragioni sociali, economiche o
culturali, hanno minori strumenti di autotutela”.
In campo internazionale si può fare riferimento alla 22ma Conferenza
internazionale sulla privacy svoltasi a Venezia dal 28 al 30 settembre
dello scorso anno e che ha visto riunite le Autorità garanti ed
esperti di privacy di quaranta Paesi.
"L'interdipendenza dei sistemi informativi, i nuovi media che prescindono
dai confini dei singoli Stati, il pericolo che il dato personale entrato
in un circuito informativo sia esposto ad una diffusione illimitata - ha
rilevato il prof. Ugo De Siervo, componente dell’Ufficio del Garante -
rende sempre più necessaria la ricerca di un'intesa sull'ampiezza
del concetto di riservatezza personale e sui criteri della sua tutela nell'attività
informativa. Occorre, dunque, trovare comuni punti di riferimento per bilanciare
la libertà di informare e la riservatezza personale, diritti egualmente
sanciti a partire dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950. Nel campo dei dati
che restano nella disponibilità degli interessati, al di là
di più severe norme contro l'invasività di nuove tecnologie,
si riscontrano differenti tecniche di tutela. Ciò che, però,
colpisce è la notevole somiglianza dei principi sul rispetto della
dignità e della libertà della persona affermati dalla giurisprudenza
dei diversi Paesi o dai codici deontologici elaborati, come il ‘Code of
Practice’ inglese o il `Codice di deontologia relativo al trattamento dei
dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica in Italia.
Questa convergenza riguarda ? secondo De Siervo ? in particolare, la
doverosa correttezza e lealtà nella raccolta dei dati da parte del
giornalista; individuazione di uno spazio di riservatezza, seppur ridotta,
da dover comunque garantire alle figure pubbliche; l'esistenza di soggetti
da tutelare in maniera assoluta (minori, malati, vittime di determinati
reati, persone estranee alla vicenda). Potrebbe essere allora opportuno
che autorità pubbliche ed operatori informativi di diversi Paesi
facessero uno sforzo comune per omogeneizzare ulteriormente le forme di
tutela della riservatezza. Quello che conta ? ha concluso De Siervo ? non
è la creazione di un unico sistema giuridico, ma il fatto che, malgrado
sistemi differenziati, l'effettiva disciplina sia sostanzialmente omogenea
nella tutela della dignità delle persone in una società caratterizzata
da fonti e liberi flussi di informazioni".
A conclusione dell'incontro 27 Paesi nei quali esiste una Autorità
garante per la protezione dei dati personali hanno sottoscritto la seguente
dichiarazione:
"I commissari per la protezione dei dati dei diversi Paesi riuniti
a Venezia in occasione della 22ma Conferenza internazionale sulla privacy
e la protezione dei dati personali convengono sulla necessità di
ribadire principi e criteri comuni per la protezione dei dati in una situazione
in cui si fanno sempre più pervasive le tecnologie di trattamento
dei dati, aumenta il numero dei soggetti che possono utilizzarle e si intensifica
ogni giorno di più la circolazione delle informazioni su scala mondiale.
Esistono già molti documenti internazionali in materia, dalla
linee?guida dell'Ocse alla Convenzione del Consiglio d'Europa n.108, alle
direttive dell'Unione Europea, alle risoluzioni e raccomandazioni di organismi
internazionali.
Questi documenti costituiscono già un significativo nucleo di
riferimento di principi assistito da largo consenso e rappresentano un
punto di partenza per un lavoro comune, al fine di giungere alla loro applicazione
a livello mondiale tenendo conto dei numerosi mutamenti tecnologici e sociali.
Alla luce del riconoscimento alla privacy come diritto fondamentale
della persona e quale elemento costitutivo della libertà del cittadino,
l'obiettivo dovrebbe essere il riconoscimento a livello globale di linee?guida
per il trattamento dei dati personali ribadendo il carattere vincolante
di tali principi, relativi in particolare alle finalità della raccolta,
alla lealtà e trasparenza del trattamento (con particolare riferimento
ai cosiddetti trattamenti invisibili), alla proporzionalità, alla
qualità dei dati, alla durata della conservazione, all'accesso e
agli altri diritti degli interessati; rendendo ancora più effettiva
la tutela degli interessati attraverso un controllo indipendente dei trattamenti
e la disponibilità di mezzi di ricorso facilmente utilizzabili;
rafforzando le garanzie per particolari trattamenti di dati come quelli
genetici o legati alle diverse forme di sorveglianza elettronica.
Ai cittadini verrebbe così assicurato universalmente un
livello di garanzie adeguato e maggiormente condiviso, indipendentemente
dal luogo in cui i dati sono trattati e dagli strumenti con i quali tali
garanzie sono attuate a livello nazionale e internazionale.
I commissari per la protezione dei dati e la privacy opereranno con
altri soggetti al fine di meglio definire ed attuare i principi riconosciuti
a livello globale".
La Carta di Venezia è stata sottoscritta da: Australia,
Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia Germania, Grecia,
Guernsey, Hong Kong, Irlanda, Islanda, Isola di Man, Jersey, Lituania,
Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Principato di Monaco,
Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria.
Sull’altro fronte, quello degli organismi di categoria dei medici,
con particolare riferimento all’Associazione della Stampa Medica Italiana,
è da rilevare che in Italia sono registrate moltissime riviste scientifiche
specializzate che però, per la maggior parte, presentano l’inconveniente
di essere gestite da piccoli editori.
Per quanto riguarda gli inserti “salute” di alcuni quotidiani, sicuramente
assai graditi, generalmente ben fatti e curati con il supporto di noti
professionisti, si deve riconoscere che essi sono certamente utili, senza
però tralasciare di considerare che molto spesso assumono un ruolo
di cronaca, di attualità, trattando argomenti di interesse contingente,
di carattere stagionale, collegati ad episodi di costume e fatti di attualità,
assumono cioè – per dirla con Mario Bernardini, presidente dell’ASMI
– una caratteristica di cronaca informativa più che di informazione
scientifica, formazione, educazione sanitaria.
E’ poi da rilevare che l’informazione medico-scientifica per via telematica
– ci si riferisce in particolar modo a Internet – comincia a valersi di
codici di autoregolamentazione predisposti in vari Paesi.
In Italia l’ASMI lavora su un documento in qualche misura analogo
a quello per i siti di medicina della Health On Net Foundation (HOM), istituita
a Ginevra nel 1995. Dalla lettura delle regole indicate dalla HOM si ha
tuttavia l’impressione di uno specifico e giusto riferimento alle esigenze
della persona malata più che a quelle di ogni persona. Il problema
dell’informazione scientifica, per Mario Bernardini, è semmai quello
di poter essere, per i medici, anche un mezzo di comunicazione propedeutico
a quello che può essere il rapporto medico-paziente. E’ per questo
che sarebbe importante potenziare anche il rapporto informativo in campo
medico generico e specialistico per quella che è la necessità
di aggiornamento dei medici nel settore del progresso della ricerca scientifica
medico-sanitaria. Si tratta di un’informazione sicuramente diversa da quella
riservata alla globalità della popolazione sulle evoluzioni della
ricerca scientifica e le possibili applicazioni sull’uomo.
Purtroppo, però, sono ancora pochi in Italia i giornalisti scientifici
qualificati.
L’informazione multimediale e l’informazione a distanza vengono guardate
con interesse, ma – è sempre il pensiero di Mario Bernardini – è
necessario cominciare a pensare anche a corsi di formazione, magari a distanza,
che servano ad aggiornare i medici e i giornalisti per consentire loro,
una volta informati, di trasmettere in modo comprensibile quella che è
la loro conoscenza perché tutti ne possano trarre vantaggio. Una
recente esperienza di video conferenza per un “media tutorial” riservato
a giornalisti su un argomento di sanità ha confermato il convincimento
che la tecnologia informatica sta superando le barriere della distanza
per permettere a gruppi di giornalisti riuniti intorno ad un video, senza
spostarsi, di discutere e colloquiare con illustri esponenti del mondo
medico. Tutto ciò anche con riferimento all’informazione multimediale
per la quale occorre che vengano fissate, ancora in modo più preciso
e pregnante, in campo internazionale, regole a valenza generale.
Così Mario Bernardini, a proposito di Internet, si esprimeva
nel luglio 2000: “Direi che oggi è un pentolone in cui può
bollire di tutto; è come il cappello di un mago dal quale possono
venire fuori coriandoli o fazzoletti, conigli o colombe, ma anche qualcosa
di estremamente pericoloso. Nel settore dell’informazione medico-scientifica
chi si avvicina a Internet può trovare di tutto: dai consigli per
l’abbronzatura alla cura per i calli; dal genoma alle biotecnologie. Sono
tanti i desideri dell’uomo in tema di salute e di benessere. Sono tante
e così diverse le aspettative dei singoli che concorrono a stimolare
nuove conquiste e che possono condizionare il progresso della ricerca,
anche quella istituzionalmente finalizzata alla salute e al benessere.
Ma proprio per questo e perché sono tante hanno bisogno di regole.
Regole e priorità che discendano da norme etiche e di comportamento.
Diversamente andremmo a ruota libera con grosse incognite e correndo grossi
rischi. Il primo, il più pericoloso, è che non si persegua
il progresso della conoscenza, della salute e del benessere, ma la convenienza
e il guadagno, la filosofia del business, del sopravvento del potere economico
sulla potenzialità della ricerca finalizzata al miglioramento delle
condizioni di vita e salute dell’uomo. E’ per questo che l’informazione
medico-scientifica – a parere del presidente dell’ASMI – deve partire da
regole che siano intanto indicate nei codici di deontologia. A queste dovranno
ispirarsi e aggiungersi le leggi, che sono le norme valide per ogni cittadino
facente parte di una collettività cosiddetta civile. Per Internet
la legislazione è in ritardo. Forse il progresso tumultuoso ha preso
il sopravvento nei tempi lunghi e ponderati della legislazione. E allora,
per l’informazione scientifica, bisogna tornare ai codici, all’autoregolamentazione
dei medici e dei giornalisti che, insieme, ne sono i garanti”.
Comunque, molto è stato fatto in Italia dall’Associazione Stampa
Medica Italiana e dai suoi iscritti. L’ASMI svolge un ruolo davvero rappresentativo
all’interno della Federazione nazionale della Stampa Italia della quale
è l’unico gruppo di specializzazione riconosciuto per l’informazione
medico-scientifica. E quanto più l’ASMI, attraverso i suoi iscritti,
sarà presente e attiva nel panorama dell’informazione scientifica
e medico-sanitaria in Italia, tanto più sarà possibile sostenere,
con motivate sollecitazioni, una più attenta considerazione finalizzata
ad un adeguato riconoscimento da valere anche in sede contrattuale per
chi svolga attività giornalistica in campo scientifico, medico e
sanitario sia con continuità che come collaboratore o anche occasionalmente.
Avviandomi alla conclusione, non posso non fare riferimento ad un significativo
incontro-dibattito organizzato dall’Ordine nazionale dei giornalisti con
l’Associazione Stampa Medica Italiana e la Commissione di bioetica dell’Ordine
dei medici di Roma a proposito di donazione di organi e trapianti.
Da questo incontro-dibattito è emersa la necessità che
la stampa e gli altri mezzi di comunicazione seguano con attenzione l’iter
applicativo della legge sulla donazione degli organi per garantire un “silenzio-assenso”
basato sull’informazione, che la stessa legge prevede, piuttosto che sull’emotività
di un encomiabile gesto di generosità o, peggio, sull’indifferenza
che impedisce, con la conseguente ignoranza, un’attiva partecipazione ai
programmi di solidarietà sociale.
Il direttore dell’agenzia di stampa ADN Kronos Salute, Luciano Lombardi,
ha affermato che “dovere del giornalista è raccontare alla gente
quel che accade nel Tempio”. In quest’ottica, per Luciano Lombardi “la
stampa medica ha svolto un ruolo fondamentale in due direzioni: un giornalismo
coraggioso, di denuncia, e uno più squisitamente formativo rivolto
all’educazione verso il trapianto. Alcuni writers americani ed europei
hanno più volte denunciato il commercio clandestino di organi con
Paesi del terzo e quarto mondo. Tutto questo ha portato a una profonda
presa di coscienza del grandissimo fenomeno, anche se purtroppo il traffico
non è stato ancora stroncato. All’informazione in questi anni, finito
l’effetto Nicholas Green (il ragazzo americano ucciso in Italia nel corso
di una rapina e i cui organi sono stati donati dai suoi genitori per effettuare
vari trapianti), spetta un compito arduo e delicato: illustrare il significato
del valore della vita umana e della dignità dell’uomo; trasmettere
messaggi sull’elevato livello raggiunto dalle tecniche chirurgiche, di
rianimazione e dell’applicazione di farmaci antirigetto, saper raccontare
quanto può essere determinante nell’esistenza di un uomo conoscere
una aspettativa di vita e soprattutto mettere da parte la voglia di scoop.
Sono questi – ha concluso Luciano Lombardi – gli obiettivi che un buon
giornalista deve raggiungere”.
In questa esigenza di sviluppo, di progresso, di crescita civile e
culturale, l’Italia – anche attraverso l’Ordine dei giornalisti, del quale
chi vi parla da anni è espressine – è seriamente impegnata
e confida in un pieno successo anche attraverso il concetto di nazioni
e politiche bilaterali come quelle portate avanti, con pieno e riconosciuto
merito, dalla Associazione per l’Amicizia fra Italia e Romania.
Dott. Rosario Ocera
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