"La cultura del farmaco
in Italia e l'informazione della popolazione"
Convegno in occasione dell'Assemblea
ordinaria dell'ASMI
(Roma 19 marzo 2002 - Sala Convegni F.N.S.I.)
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Luciano Caprino
Ordinario di Farmacologia – Università "La
Sapienza"
Farmaci "generici" e di "automedicazione",
rischi e mode
Ho apprezzato moltissimo, anche se avrei alcune domande
da fare, la relazione del dottor Agostini.
Vorrei parlarvi dei farmaci generici e di automedicazione
anche per fare qualche correlazione con quello che ha detto il dottor Agostini.
Tutti voi siete a conoscenza che lo scenario del consumo
e dell'impiego dei farmaci in Italia sta cambiando rispetto a due nuove
situazioni: la prima è quella dei generici di cui si è parlato
moltissimo in questi anni; la seconda riguarda i farmaci di automedicazione.
Cosa sono i farmaci generici? Sono farmaci realizzati con principi attivi
per i quali è scaduto il brevetto di protezione, compresi quegli
allungamenti legislativi definiti come certificato di protezione complementare.
Si differenziano da un farmaco presentato con un
nome di fantasia, quello per cui è conosciuto dal pubblico, esclusivamente
per il fatto che devono riportare la sola denominazione chimica accettata
dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità,
un farmaco generico è un farmaco intercambiabile con un farmaco
di riferimento: viene messo in commercio dopo che è scaduto il brevetto
e quello che prima ho ricordato come certificato complementare di protezione.
Un farmaco generico deve avere queste caratteristiche:
stessa composizione quali-quantitativa di principi attivi; stessa forma
farmaceutica e – attenzione – analoghe caratteristiche di bioequivalenza.
Cosa intendiamo per bioequivalenza? Significa che in
rapporto alla somministrazione del farmaco si raggiungono concentrazioni
nel sangue analoghe a quelle del prodotto di riferimento e, fatto più
importante, si mantengono nel sangue, nei liquidi più in generale,
per lo stesso periodo di tempo.
Se i due farmaci sono bioequivalenti non possono o non
potrebbero produrre effetti terapeutici e avversi diversi da quelli del
farmaco col nome registrato. In altre parole è bene chiarire che
la bioequivalenza equivale ad una stima surrogata dell'equivalenza terapeutica.
Questo è accettabile e assolutamente condivisibile,
pur esistendo alcuni tipi di bioequivalenza, che possono essere la bioequivalenza
media che misuriamo, la bioequivalenza di popolazione, la bioequivalenza
individuale.
Il problema fondamentale è che questa è
una stima surrogata, perché è praticamente impossibile fare
delle prove di terapia.
Abbiamo sentito prima che per ‘riprovare’ che il
farmaco abbia lo stesso effetto terapeutico occorrerebbero altri cinque
anni, il che renderebbe impossibile l’introduzione nel mercato.
Però per tutti i concetti di farmaco-cinetica
ampiamente noti, si può benissimo accettare la bioequivalenza come
surrogato della equivalenza terapeutica.
Il problema fondamentale che ha turbato molto anche me
personalmente, sta nel fatto che nei primi anni del 2000, si è scatenata
una forte propaganda, promossa fondamentalmente dalle industrie farmaceutiche
con l'adesione di parecchi medici.
Sono stati usati degli slogan che vi vorrei leggere perché
mi hanno colèito e se fossero stati preparati da un mio studente
l'avrei immediatamente bocciato.
Cito frasi prese da una pubblicazione: "diversi fattori
possono influenzare l'assorbimento del farmaco e quindi gli studi di bioequivalenza
non garantiscono l'equivalenza terapeutica." È un concetto sbagliato.
Abbiamo detto che cosa intendiamo per bioequivalenza, evidentemente sono
compresi anche i processi di assorbimento. Fare un'affermazione del genere
è fare un'affermazione falsa ed estremamente fuorviante.
Seconda frase: "gli eccipienti sono ingredienti attivi,
che possono influire sull'effetto terapeutico e determinare effetti collaterali."
E’ una frase ancora più grave perché gli eccipienti non possono
modificare l'assorbimento, quindi non possono modificare in pratica quello
che è la bioequivalenza.
Sono frasi inaccettabili, apparse su riviste di larghissima
diffusione.
Vado avanti: una querela, è stata la conseguenza
del confronto tra Aulin e Nimesulide
Uno studio assolutamente parcellare e limitato doveva
dimostrare che c'era una notevole differenza di concentrazione ematica
tra Aulin e Nimesulide.
Questo voleva dire che gli studi di equivalenza per la
Nimesulide generica erano fatti male e che i dossier presentati erano dei
dossier falsi. So che la ditta dei generici ha reagito querelando la ditta
produttrice dell'Aulin.
Il secondo problema sono stati i medici con le loro remore,
alcune condivisibili altre non condivisibili.
Ricordiamo quelle non condivisibili.
La non conoscenza di cosa significa la bioequivalenza
e quindi una errata valutazione di quello che poteva riferire il paziente.
Il paziente, infatti, poteva riferire: il farmaco non mi ha fatto lo stesso
effetto di quello che mi ha dato fino adesso. La conseguenza era di mettere
il medico nella condizione, per ignoranza, di non poter affrontare il problema
in modo scientifico.
Aspetto invece più importante è quello
del paziente che è abituato da anni a un prodotto: un paziente non
giovane affetto da malattie croniche degenerative.
Il medico può perdere la compliance del paziente;
Il paziente si preoccupa per il cambiamento del nome del prodotto e non
si adegua più a quel regime terapeutico che gli ha prescritto il
medico.
Se esaminiamo il mercato dei generici ci sono alcune
considerazioni da fare: in Germania, Gran Bretagna e Olanda già
raggiungono quasi il 40% di fatturato; in Austria, Belgio, Svezia, 10%,
in Francia e Spagna il 3%.
Voi sapete che la normativa sui generici è entrata
in vigore in Italia nel settembre 2001 motivo per cui, fin’ora, non c'è
stato un adeguato sviluppo commerciale.
Il ritardo è dovuto anche all'eccessiva lunghezza
in Italia della copertura brevettale. Credo che da noi si raggiungano i
venti anni, un tempo molto più lungo di quello degli altri paesi.
Malgrado queste prese di posizione, i farmaci generici stanno già
avendo un certo successo. Il Sole 24 Ore del 17 dicembre 2001 dice
che i generici funzionano, si sono raggiunti 7 milioni di euro di risparmio
e il mercato è balzato dallo 0,5-1% a circa l'8-10%.
Questo successo in parte – e qui bisogna esaminare la
parte economica – è dovuto più che alle scelte prescrittive
del medico per quella ostilità che prima abbiamo seminato, alla
forte spinta del consumatore per un significativo risparmio economico.
Conoscete benissimo la legge 16 novembre 2001: l'assistito deve pagare
la differenza fra il farmaco generico e il farmaco registrato.
Il Ministro Sirchia vuole raggiungere il 10% del mercato
nel 2002 e a questo punto si è verificato un fatto di estrema importanza:
alcune ditte farmaceutiche molto importanti hanno ridotto il prezzo del
loro farmaco registrato.
Paradigmatico è il caso dell'Aulin, prodotto registrato
nel settembre 2001al costo di circa 10 euro: il prezzo oggi è di
4.90 euro; in pratica allineato a quello di tutti i farmaci generici con
la stessa sostanza
Si possono fare ovviamente alcune considerazioni. La
prima, è la più banale: era in precedenza troppo costoso,
permetteva margini di guadagno molto elevati Oppure seconda ipotesi, la
manovra tendeva a mettere fuori gioco i farmaci generici equivalenti. Sono
scarse spiegazioni perché si debba verificare in Italia e non in
Europa
Un farmaco generico ha ridotto del 66% la vendita del
Prozac nel 2001.
La ditta produttrice del Prozac, una ditta di notevole
serietà che impegna molti soldi nella ricerca, ha presentato ricorso
per far registrare un secondo brevetto che gli è stato respinto
dalla Corte Suprema degli Stati Uniti: non è stato accettato in
quanto ritenuto una manovra più commerciale che scientifica.
Andiamo avanti.
Cosa si può fare per rendere più significativo
o sviluppare il mercato dei generici? Spiegare ai pazienti che i farmaci
generici contengono lo stesso principio attivo e sono tutti equivalenti
ai medicinali corrispondenti registrati.
Effettuare un'adeguata informazione dei medici sulle
bioequivalenze – cosa molto importante – e sulle metodiche impiegate per
la bioequivalenza.
Definire (e credo sia molto importante) criteri di maggiore
rigidità per la determinazione della bioequivalenza ricorrendo a
prove sperimentali molto semplici, quelle che in termine tecnico si chiamano
triplo cieco, vale a dire non si sa se al paziente è somministrato
il farmaco generico o il farmaco registrato: non lo sa il medico, non lo
sa il chimico che ha preparato le due preparazioni ed è assolutamente
anonimo chi fa la valutazione finale del prodotto e addirittura si potrebbe
ricorrere a centri separati per garantire massima sicurezza.
Altra iniziativa potrebbe essere quella di rendere responsabile
il medico che effettua la scelta in modo da potere valutare le conseguenze
economiche derivanti dall'utilizzo di un farmaco registrato rispetto ad
un farmaco generico.
E ultimo punto, non trascurabile, permettere alle aziende
che intendono registrare un generico di presentare la documentazione, ma
non di immetterlo sul mercato prima della scadenza del brevetto del farmaco
di riferimento in modo che al momento della caduta del brevetto possono
entrare subito sul mercato.
Le ditte che hanno il brevetto – e questa è opportuno
e corretto – hanno tempi ridotti e non devono in pratica dimostrare
la bioequivalenza.
In pratica se oltre l'Auli, la stessa ditta volesse mettere
in distribuzione il farmaco registrato e un farmaco generico, non avrebbe
la necessità di aspettare i tempi necessari alle altre aziende.
Se esaminiamo quello che è accaduto con
l'Aulin, vediamo che vendeva prima del 2001 circa 1.100.000 pezzi, con
un fatturato di 21 miliardi. La riduzione del prezzo effettuato dalla società
ha portato a una vendita di 1.200.000 pezzi, quindi non si è spostato
molto; però la spesa o il fatturato complessivo ovviamente si è
ridotto di 12 miliardi: da 21 a 12 miliardi.
Discorso diverso, ma interessante anche per le problematiche
in gioco, è quello della ticlopidina, di cui si vendevano 241.000
pezzi. Con la riduzione del prezzo si è passati a 362.000 pezzi,
con un incremento del 50%, pur mantenendosi invariato il fatturato .
Sono due esempi paradigmatici che ci debbono fare riflettere
e ci debbono fare riflettere sul perché sarebbe opportuno che in
Italia il mercato dei generici possa avere sviluppo.
Altro problema di farmaci che modificheranno lo scenario,
o lo hanno in parte già modificato, è quello dell'automedicazione.
I farmaci di automedicazione comprendono due tipi di
farmaci, gli OCT e i SOP secondo le sigle per i prodotti da banco e per
i prodotti senza obbligo di prescrizione medica.
Per accomunarli li ho indicato come quelli che non necessitano
dell'obbligo della ricetta medica e sono impiegati per patologie minori.
Il problema è che molti disturbi non particolarmente
allarmanti possono essere un segnale di grave patologia.
E qui scende in campo l’informazione sanitaria, che dovrebbe
essere molto accurata. Tenete presente che i farmaci senza obbligo di ricetta
medica non possono essere propagandati a differenza dell'OTC che però
potrebbero avere una notevole diffusione attraverso un canale fondamentale
che sarebbe quello delle farmacie dove il malato ha il primo approccio.
Questa procedura non dovrebbe sostituire l'assistenza
del medico, ma potrebbe anticiparla; per questo occorre una corretta informazione
su dove termina l'automedicazione e dove inizia la necessità di
un intervento medico.
E faccio un esempio: in linea generale si dovrebbe dire
che l’automedicazione dovrebbe essere limitata ad uno o due giorni per
alcuni disturbi: mi riferisco ai cosiddetti mal di pancia, alle cosiddette
tossi che non passano.
Un prolungato impiego può mascherare una patologia
pericolosa per la vita.
L'esempio più classico, ma ce ne sono tanti altri,
è prendere un antispastico o altro medicinale e nascondere quello
che può essere un’ appendicite che si trasforma in una peritonite
e quindi diventa estremamente pericolosa per la vita.
Sono esempi semplici e banali e se ne possono fare altri.
Sintesi
L’impiego e il consumo dei Farmaci in Italia sta cambiando
in rapporto a due nuovi scenari riguardanti i Farmaci Generici e i Farmaci
di Automedicazione.
I primi hanno fatto la loro reale comparsa sul mercato
nel settembre 2001, mentre i farmaci di automedicazione pur essendo sul
mercato da diverso tempo, stanno avendo solo ora quel successo per una
concreta affermazione sul mercato.
I farmaci generici (unbranded) sono costituiti da
principi attivi non protetti da brevetto o Certificato di Protezione Complementare
(CPC) e non si differenziano da un farmaco registrato (branded) se non
per essere presentati con il nome generico (conforme alla Denominazione
Comune Internazionale: DCI) del principio attivo, seguito dal nome della
ditta Farmaceutica produttrice.
Un farmaco generico deve avere: la stessa composizione
quali-quantitativa di principi attivi, la stessa forma farmaceutica, e
fatto determinante analoghe caratteristiche di bioequivalenza.
Due farmaci sono considerati bioequivalenti quando
le loro concentrazioni ematiche raggiungibili nel paziente (ovviamente,
a parità di dose) sono sovrapponibili entro un certo limite di variabilità.
Con la bio-equivalenza, viene assunto il concetto
che due farmaci bioequivalenti non possono produrre differenti effetti
terapeutici e/o avversi; in altre parole che il risultato terapeutico sia
direttamente correlato alla concentrazione e alla permanenza nel tempo
del farmaco nel sangue. Di conseguenza a rendere intercambiabile un prodotto
registrato con un prodotto generico è la presenza in entrambi di
“analoghe caratteristiche di bioequivalenza”.
La bioequivalenza, che è quindi una stima surrogata
della equivalenza terapeutica (impossibile da raggiungere in tempi brevi
e a costi economici ed etici accettabili) è –entro determinati limiti-
congrua ed accettabile, anche se esistono diversi tipi di bioequivalenza:
media, di popolazione, individuale.
La vendita dei farmaci generici, come abbiamo già
indicato sta avendo un grande successo e questo sembra attribuibile, più
che alle scelte prescrittive del medico, alla forte spinta del consumatore
per la possibilità di un significativo risparmio economico. In base
alla legge 16 novembre 2001 l’assistito deve pagare se vuole acquistare
il farmaco registrato al posto del generico, la differenza tra questo e
il corrispondente farmaco generico con il prezzo più basso.
Alcuni medici non ritengono sempre intercambiabile
il farmaco generico con quello di riferimento; spesso per non mettere a
rischio la compliance del paziente, continuano a prescrivere il prodotto
registrato verso il quale il paziente ha già istituito da tempo
un forte legame di fiducia.
Interessante è sapere che alcune ditte Farmaceutiche,
molto famose, hanno ridotto il prezzo del loro farmaco registrato allineandolo
a quello del farmaco generico.
Paradigmatico al riguardo è il caso della NIMESULIDE;
di tale principio attivo il prodotto registrato di riferimento più
conosciuto e utilizzato è l’Aulin, la cui confezione da 30 bustine/cpr
da 100 mg aveva nel mese di settembre 2001 un prezzo al pubblico di circa
10 euro. Oggi il prezzo è di 4,90 euro (meno circa il 48%), analogo
quello dei corrispondenti farmaci generici.
Per la giustificazione della riduzione del prezzo
si possono formulare due ipotesi: a) il medicamento era in precedenza troppo
costoso, permettendo margini di guadagno molto elevati, b) è stato
adottato un meccanismo per mettere fuori gioco i farmaci generici equivalenti.
Per rendere più significativo il mercato dei
farmaci generici in Italia:
· Spiegare ai pazienti che i generici contengono
lo stesso principio attivo e sono del tutto equivalenti ai medicinali registrati
corrispondenti.
· Effettuare una adeguata informazione verso
i medici sui concetti di qualità di bioequivalenza e sulle metodiche
utilizzate per la loro determinazione.
· Far definire con maggior chiarezza e rigidità
i criteri per la determinazione della bioequivalenza, aumentando anche
la numerosità dei pazienti da includere nello studio (Si dovrebbe
adottare anche il metodo del triplo cieco: in cui né il medico ricercatore,
né il paziente, né il chimico responsabile della determinazione
della bioequivalenza siano a conoscenza del tipo di trattamento (farmaco
registrato – farmaco generico) adottato nel soggetto sottoposto allo studio.
· Rendere responsabile il medico delle scelte
che effettua in modo che valuti, accanto alla individuazione della terapia
le conseguenze economiche derivanti dall’utilizzo di un farmaco registrato
rispetto ad un farmaco generico.
· Dare la possibilità alle aziende che
intendono registrare un generico, di presentare la documentazione prima
della scadenza del brevetto del farmaco di riferimento, in modo da essere
sul mercato nel più breve tempo possibile.
Per quanto riguarda i Farmaci di automedicazione,
non è possibile immaginare uno scenario del farmaco senza prevedere
uno sviluppo sostanziale di questi farmaci che non necessitando dell’obbligo
di ricetta medica, possono essere impiegati per patologie, definibili come
minori.
Il problema è che molti disturbi non particolarmente
allarmanti in realtà rappresentano un segnale di gravi patologie.
L’impiego di questi farmaci esige quindi una conoscenza dei pericoli che
possono derivare da una sottostima di questi disturbi. In altre parole
l'automedicazione non dovrebbe sostituire l’assistenza del medico, ma dovrebbe
anticiparla; per questo occorre una corretta informazione su dove termina
l’automedicazione e dove inizia la necessità di chiamare un medico.
Come regola generale si dovrebbe diffondere il concetto
che un’automedicazione non dovrebbe prolungarsi oltre uno-due giorni. Un
prolungato impiego può mascherare, in certe situazioni, una patologia
pericolosa per la vita. Esempio tipico è la medicazione dei disturbi
gastrointestinali, quali la diarrea e/o piccoli dolori addominali. Si può
con antidiarroici e con antispastici di libera prescrizione, far ritardare
una diagnosi di una grave patologia: una banale appendicite può
evolvere in perforazione intestinale con grave pericolo per la vita del
paziente. |