Logo Asmi
Testata Asmi
"La cultura del farmaco in Italia e l'informazione della popolazione"
Convegno in occasione dell'Assemblea ordinaria dell'ASMI 
(Roma 19 marzo 2002 - Sala Convegni F.N.S.I.)

Maurizio Agostini
Responsabile Area Tecnico-Scientifica, Ricerca ed Epidemiologia Farmindustria

La ricerca farmaceutica in Italia, 
risorse e aspettative

(* I lucidi della relazione in formato Power point)

Grazie, buongiorno a tutti e un vivissimo ringraziamento agli organizzatori e segnatamente al dottor Mario Bernardini, con il quale ci lega un'amicizia di antica data. (lucido 1)
Il Presidente Leopardi ha anticipato in una battuta quello che io avevo posto come premessa, ma mi permetto di ribadire alcuni concetti. Il dottor Siddi diceva: i farmaci uccidono. Il farmaco sicuramente nasce con l'intento di essere un presidio terapeutico importante; alla farmacoterapia si devono l'abbattimento e il miglioramento di alcune patologie che solo nel secolo scorso costituivano dei veri e propri flagelli, per cui credo che alla farmacoterapia si debba molto se oggi la vita media è così aumentata sia per il sesso maschile che per il sesso femminile. 
Mi è stata affidata oggi una relazione sulla ricerca, voi siete persone addette ai lavori, conoscete che cosa si intende per ricerca farmaceutica, ma ho voluto comunque fare un’ampia relazione per fornire alcuni elementi e alcuni spunti di riflessione sui quali aprire un eventuale dibattito. (lucido 2)
Quello della ricerca, come sapete, è un processo molto lungo, rischioso, che sicuramente richiede molti investimenti. Dalla fase iniziale, nella quale si individuano circa 10.000 possibilità di molecole che possono teoricamente diventare farmaco, man mano che si passa dalla identificazione del target, e quindi delle molecole, fino alla ricerca, alla dimostrazione del valore, allo sviluppo, alla produzione infine dei primi lotti industriali, molte molecole cadono e di quelle inizialmente considerate, solamente poche entrano in quella che viene chiamata sperimentazione clinica, che è la fase che precede la registrazione dei medicinali. 
Accade che molte molecole cadano addirittura prima, in fase di sperimentazione preclinica, ma la ricerca clinica ne abbatte ancora alcune, in particolare in fase 2, con le prime prove di tollerabilità e di efficacia sull'uomo, fino ad arrivare alla fase 3, dove ancora si assiste ad una moria di molecole e si arriva ad avere un lancio solamente di 1 o 3 molecole. Pertanto, da 10.000 si arriva a 1 o 3, e generalmente solo 1 ha probabilità di avere un vero successo sotto il profilo commerciale. (lucido 3)
Analizzando che cosa è successo nelle varie fasi della ricerca in questi ultimi anni, dagli anni sessanta agli anni novanta, vediamo che i tempi, per quanto riguarda la realizzazione di un medicinale, si sono notevolmente allungati. Se guardiamo la colonna di destra, che è quella che riguarda i totali, vediamo che mentre negli anni sessanta e settanta per arrivare alla individuazione di un medicinale occorrevano circa 8-9 anni, negli anni novanta – questa è una statistica che arriva fino al '95, ma più o meno i dati coincidono ancora – ed ancora oggi occorrono quindici anni per sviluppare completamente un farmaco. 
E se considerate le varie colonne potete constatare che, per quanto riguarda la sperimentazione preclinica, i tempi sono pressoché raddoppiati. Questo perché le linee guida comunitarie hanno introdotto degli standard qualitativi altissimi, per cui oggi le prove, sia da un punto di vista di esecuzione che di realizzazione, sotto il profilo economico sono molto impegnative, ed ancora di più lo è lo sviluppo clinico. Questo, infatti, rappresenta la parte sicuramente più costosa nello sviluppo di un farmaco, e la più impegnativa. Qui siamo passati dai 2,5 anni necessari negli anni sessanta/settanta, fino ai sette anni oggi occorrenti per uno sviluppo clinico. Per la registrazione, invece, i tempi si sono più o meno standardizzati, anche perché le varie amministrazioni sanitarie (il Ministero della Salute nel nostro caso) hanno individuato procedure più rapide, anche informatizzate, che consentono oggi di valutare le registrazioni in tempi abbastanza celeri. (lucido 4)
Se si prende in considerazione la proporzione che esiste tra molecole individuate negli anni ottanta e negli anni 2000 e si effettua una comparazione con le spese di ricerca e sviluppo, si rileva un andamento inversamente proporzionale. Infatti nel grafico la riga rossa mostra come nell'81 le nuove sostanze chimiche scoperte erano circa 30, a fronte di costi abbastanza sostenibili sotto il profilo economico; se invece consideriamo l'ultima colonna di destra, relativa agli anni '99, vediamo che si è arrivati ad avere, negli anni '99-2000, solo 15 nuove sostanze attive, per cui è sempre più difficile avere nuove sostanze, nuovi farmaci, mentre la colonna che riguarda le spese per ricerca e sviluppo mostra un aumento progressivo, fino ad arrivare ai circa 1.000 miliardi di lire negli anni '99 e 2000. (lucido 5)
Ovviamente, questo non è l'unico parametro che influisce nella valutazione dello sviluppo di un farmaco, ma bisogna considerarne anche altri, ad esempio quello del ciclo di vita di un farmaco, che però più appropriatamente io chiamerei esclusività di mercato. Quando, infatti, una molecola viene messa sul mercato, se si tratta di una molecola cosiddetta capostipite di alcune generazioni di medicinali, questa può avere una esclusività di mercato, il che significa che in un certo periodo di tempo, che può essere di 1, 10, 16 anni, solo quella molecola è in grado di intervenire in una determinata patologia e pertanto ha una rilevante possibilità di ritorno, anche di carattere economico. Questo fenomeno ha avuto un'evoluzione importante; infatti nel '68, quando è stato scoperto il primo betabloccante, il propanololo, per arrivare alla seconda molecola in grado di competere sul mercato con il propanololo sono occorsi dieci anni, ossia tutto il tempo fino a quando è arrivato il metoprololo. 
Si consideri ora che cosa è successo nell'evoluzione: il captopril nel '77 con l'enalaprim nel '95, 8 anni; la cimetidina, il primo anti-ulcera, nel '77, ed è intervenuta nell'83 la ranitidina, per cui il periodo di esclusività di mercato si è andato progressivamente riducendo, fino ad arrivare al Fattore VIII, che ha fatto registrare solamente un anno di intervallo tra la prima e la seconda molecola; per arrivare poi ai farmaci retrovirali, dove addirittura l'intervallo di tempo tra la prima e la seconda molecola è stato di soli tre mesi. Tutto questo per evidenziare quanto oggi sia impegnativo e difficoltoso sviluppare un medicinale. (lucido 6)
Nella tabella di destra sono stati riassunti gli elementi principali, e precisamente: i tempi (circa 10-15 anni per ottenere una molecola); i costi (circa 500 milioni di dollari); la probabilità di commercializzazione (1 molecola su 5.000 o 10.000); il successo commerciale (circa 3 su 10 molecole, e questa è una cifra anche abbastanza alta); i pazienti necessari per sviluppare una nuova sostanza chimica (oltre 4.000); le pagine dei dossier di registrazione di questi prodotti (che sono arrivati ad essere circa 100.000) e gli investimenti (che corrispondono a circa il 20% delle vendite).
L'esclusività di mercato è in diminuzione costante, e come si rileva dalla percentuale degli investimenti in ricerca e sviluppo rispetto alle vendite, quella farmaceutica è sicuramente molto più alta, corrispondendo al 18% rispetto, per esempio, al 9,5% dell'industria elettronica, o al 2,4% del settore automobilistico, o addirittura allo 0,5% dei beni al dettaglio di largo consumo. Questo chiaramente dimostra che tipo di investimento, di procedura e di complessità c'è dietro la scoperta di un nuovo medicinale.
Ovviamente, l'industria farmaceutica e la ricerca farmaceutica non è autoreferenziante. L'industria farmaceutica sviluppa i propri farmaci tenendo conto anche del cambiamento dello scenario, che si compone di elementi importantissimi da un punto di vista sia socio-economico che politico-istituzionale. (lucido 7)
Occorre poi tenere conto della trasformazione demografica della società: i pazienti anziani sono in numero sempre maggiore, e sempre più numerosi. Questo è sicuramente un bene, anche se sappiamo benissimo che con l'andare dell'età il consumo dei farmaci e il bisogno di assistenza è progressivamente aumentato. Vi sono poi le trasformazioni ambientali e quelle legate agli atteggiamenti sociali; oggi i pazienti non chiedono più soltanto un farmaco che serva per curare una determinata patologia, ma chiedono piuttosto un farmaco che garantisca la cosiddetta qualità della vita, che sia in grado di alleviare alcuni tipi di sofferenze senza necessariamente intervenire sull'eziopatogenesi della malattia.
Ovviamente la globalizzazione dei mercati influisce anche sotto il profilo degli investimenti industriali, così come l'aumento delle patologie cronico-degenerative e l'aumento delle patologie correlate all'ambiente concorrono all'aumento del ricorso all'assistenza pubblica, che come automatica conseguenza porta ad un aumento della spesa sanitaria, che non deve, però, essere vista come un fattore negativo, perché spendere di più, purché si spenda bene, credo sia un segnale di civilizzazione e di progresso di ogni società industrializzata. (lucido 8) (lucido 9)
Oggi stiamo andando in una direzione nuova, gli orizzonti sono quelli individuati dalla gnomica e dalla farmacogenetica, abbiamo a disposizione circa 500 target biologici che ci permettono di intervenire su un determinato numero di malattie, ma questi sono in continuo aumento e la ricerca medica, la ricerca biologica, la genetica sta facendo passi da gigante. Si prevede che nel 2009 si potrà disporre addirittura di 18.000 target biologici, con la conseguente possibilità di intervenire in modo molto più mirato, di fare una terapia quasi personalizzata, che certamente costituisce un progresso importante. Quando parliamo di terapia mirata ci riferiamo soprattutto agli studi di farmacogenetica, che ci permetteranno di arrivare a colpire il nostro bersaglio in modo da far sì che ogni paziente possa avere quasi la propria terapia personalizzata.
Ovviamente questo non sarà la realtà di domani. Credo che nel prossimo decennio potremo arrivare ad una situazione in cui per ogni paziente sarà possibile dare un certo tipo di farmaco ed eventualmente sapere che cosa succede dandone invece uno di diverso tipo, anche in termini di efficacia e di tollerabilità. Potremo forse escludere la possibilità che un determinato paziente possa avere effetti collaterali con un determinato farmaco. (lucido 10) (lucido 11)
È importante in questa logica innescare, dal punto di vista non solo industriale ma anche strategico, politico e istituzionale, un circolo virtuoso che sia in grado di autoalimentare l'innovazione. Noi sappiamo che l'immissione sul mercato di un nuovo farmaco crea sicuramente competitività, e che la competitività porta allo sviluppo di nuovi farmaci; lo sviluppo di nuovi farmaci crea remunerazione, dà la possibilità a colui che ha investito di reinvestire in ricerca e in questo modo, si alimenta il circolo virtuoso.
Ma vi sono delle condizioni da rispettare perché ciò si manifesti, e sono condizioni di carattere finanziario – come gli incentivi, il credito, la fiscalità, il venture capital, gli start up –; condizioni normative adeguate, evitando quelle regole burocratiche che sono capaci di asfissiare il sistema; una garanzia di copertura brevettale ed anche un riconoscimento del valore aggiunto sociale che il medicinale ha con sé. Inoltre, le condizioni ambientali di sistema, che prevedono l'integrazione delle gross fertilization tra industria e università e anche la valorizzazione delle piccole e medie imprese del nostro settore.
Oggi parlare di ricerca è molto complesso e difficile, ed è impossibile pensare che una entità possa, da sola, alimentare questo tipo di ricerca e di investimento; è pertanto necessario che ci siano delle integrazioni, dove l'industria farmaceutica è una parte del tutto, è un elemento importante sia sotto il profilo del know-how che del potere finanziario che può avere un'azienda, ma c'è assolutamente bisogno di integrazione e di interscambi con gli altri sistemi: con il Servizio Sanitario Nazionale, con gli istituti ed i centri di eccellenza a livello universitario, con il sistema finanziario e creditizio, con le autorità regolatorie e con le università. Oggi, solamente in questo modo è possibile fare ricerca, anche perché non tutti hanno la possibilità di saper fare tutto e di conoscere tutto, per cui la possibilità di integrazione delle risorse diventa la carta vincente per arrivare a nuove scoperte. (lucido 12) (lucido 13)
La politica dei clusters, cioè delle unioni di possibilità di collaborazione tra diverse entità, è quella che sta vincendo a livello internazionale – qui vedete descritta una mappatura dei i principali clusters – e, tra l'altro, la politica dei clusters, cioè delle collaborazioni tra più entità è stata premiata e valorizzata dal Sesto Programma Quadro di ricerca a livello europeo, che ha premiato le aziende che hanno avuto capacità di collaborare a livello europeo tra diversi Stati e Paesi e di mettere in contatto anche piccole e medie imprese col sistema universitario. Credo che questo sia un sistema da seguire e da valorizzare in futuro, perché è quello che anche nei Paesi industrializzati sta dando i maggiori benefici.
C'è bisogno, dunque, di una grandissima integrazione, di un interscambio tra industria e accademia e tra accademia e industria con le istituzioni sia centrali che locali. Ovviamente le università stanno cambiando la loro impostazione, già da qualche anno è stata introdotta l'autonomia dell'Università e questo sta innescando dei progressi, anche perché prima le università erano autoreferenzianti mentre adesso, col nuovo sistema, c'è una maggiore competitività e questa è una situazione che deve essere guardata con molta attenzione sia dalle università che dalle imprese, perché queste ultime possano ricavare da tale collaborazione dei grandi benefici. (lucido 14)
Anche noi, come Associazione, abbiamo cercato questo modello operativo, anche se la nostra mission non è scoprire nuovi farmaci, ma creare nuove conoscenze, know-how e forme di collaborazione. Nell'ultimo biennio abbiamo attivato diverse iniziative attraverso due convenzioni, una con la CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, e l'altra con la SIF, la Società Italiana di Farmacologia, con la quale abbiamo realizzato sei convegni sulla sperimentazione clinica, quattro convegni sulla proprietà intellettuale e sui brevetti (materia con riguardo alla quale nelle stesse università è stata riconosciuta una grave carenza), tre master universitari, due iniziative a livello regionale sull'importanza dei comitati etici, ed un convegno sulla ricerca scientifica. Tali iniziative, tutte di successo, hanno visto un'ampia collaborazione e partecipazione sia da parte di esperti del settore che di giovani universitari, per cui si è cercato di portare le nuove conoscenze anche tra i giovanissimi. (lucido 15) (lucido 16)
È noto che il sistema industriale, per quanto riguarda la ricerca è autofinanziato. Rispetto ad altri settori, al complesso delle imprese, mentre il settore farmaceutico si autofinanzia per quasi l'88%, rispetto al 65% del complesso delle imprese, il finanziamento esterno per il nostro settore è appena del 12%, contro il 35% del settore complessivo delle imprese manifatturiere. In realtà, questo per noi non costituisce un particolare handicap, nel senso che puntiamo a un finanziamento esterno, certamente, ma purché sia di un certo tipo, e non si risolva con i finanziamenti a pioggia del passato. I finanziamenti debbono essere mirati per progetto, ma ciò che in particolare importa è la deducibilità fiscale dei nuovi investimenti in ricerca, o dei reinvestimenti.
I dati numerici che mi accingo a presentare dimostrano che per quanto l'Italia, nel contesto internazionale, in tema di ricerca sia sicuramente non ai primi posti - diciamo anzi che dobbiamo recuperare diverse posizioni rispetto ai nostri concorrenti, i Paesi europei più industrializzati, come pure gli Stati Uniti e il Giappone – tuttavia la globalità degli investimenti dal '96 al 2002 è in continua crescita sia in ambito internazionale che per quanto riguarda l'Italia, sicché dal 1998 siamo passati da 1.453 a 1.784 miliardi; questo sta a significare che vi è una volontà ed una possibilità di crescita, che va sicuramente incoraggiata e  incrementata. (lucido 17)
Anche sotto il profilo della valutazione del valore aggiunto e della qualificazione degli operatori l'industria farmaceutica si colloca ai primissimi posti, se comparata con altri settori: il valore aggiunto delle nostre industrie è del 42,7%, contro il 35,9% di quelle dell'elettronica ed il 33,3% di quelle della chimica; il totale dell'industria manifatturiera si colloca sul 35,8%.
Ugualmente può dirsi per l'occupazione: la nostra occupazione è ampiamente qualificata rispetto ad altri settori,  con il 72% rispetto al 42% dell'elettronica, al 56% della chimica ed al 29% del totale dell'industria manifatturiera. Va poi sottolineata la particolarità che nel nostro settore operano generalmente persone che hanno conseguito lauree in medicina, biologia, farmacia, chimica, chimica e tecnologia farmaceutica, e che garantiscono una professionalità di altissimo livello. 
Anche per quanto riguarda gli addetti alla ricerca valgono le stesse considerazioni: la percentuale rispetto al totale degli occupati per la ricerca dell'industria farmaceutica è del 7,48% rispetto al 6% dell'elettronica, al 5,41% della chimica e all'1,04% del totale dell'industria manifatturiera. (lucido 18)
Quando parliamo di industria farmaceutica dobbiamo pensare a tutto l'indotto che esiste intorno al farmaco, quello che noi abbiamo chiamato "farmindotto" e che riguarda diversi settori, dalla ricerca e sviluppo in cui sono coinvolte le università, gli enti di ricerca, i laboratori di analisi, gli ospedali, le cosiddette CRO, che sono i centri di ricerca a contratto; dalla produzione, che vede il coinvolgimento di tutti i produttori di principi attivi, di eccipienti, di macchine, di contenitori primari, dei materiali di confezionamento, a tutte le aree sia industriali che commerciali che ruotano intorno al nostro settore, e che vanno dalle società di ingegneria a quelle di impiantistica, ai mezzi di trasporto, ai servizi finanziari, ai servizi informatici, a quelli editoriali, al settore della distribuzione all'ingrosso, alle farmacie, ecc.
Se dovessi indicare che cosa si può fare per incrementare ulteriormente la ricerca farmaceutica suggerirei di mettere in atto – ma questo è un problema della classe politica – tutte quelle condizioni che possono fare del nostro Paese un luogo dove fare ricerca è conveniente. Infatti, laddove esistono facilitazioni – da non intendersi esclusivamente di carattere economico, ma di tipo generale, anche procedurale e burocratico – i Paesi riescono ad essere attrattivi e le aziende vi si impiantano per fare ricerca.
Abbiamo avuto un recente esempio, per quanto riguarda la nostra regolamentazione sulla sperimentazione clinica, che fino al 1998 nel nostro Paese era paralizzata da norme eccessivamente stringenti, burocratizzate, vecchie, addirittura ferme al 1978; quando si è proceduto ad uno sblocco di tali normative, anche attuando un decentramento delle autorizzazioni per la sperimentazione clinica e quindi consentendo alle aziende di poter operare nel nostro Paese (questo è avvenuto nel 1998, con tre decreti ministeriali), subito le aziende hanno cominciato ad investire in ricerca. Nel 1998 si è assistito ad una impennata dei Comitati etici in Italia: trasformata la norma, i Comitati etici si sono messi in moto, hanno compreso l'importanza del loro ruolo e che vi fosse una loro rete in grado di funzionare sul territorio; è così che tra il '98 e il '99 è stato costituito un gran numero di Comitati etici. Non voglio discutere se il numero dei Comitati etici sia importante o meno, se questo sia un bene oppure no; si tratta comunque di un grande segnale di positività, che è intervenuto non appena le regole sono cambiate. (lucido 19) (lucido 20)
Ovviamente, dietro la Costituzione dei comitati etici vi sono stati gli investimenti delle aziende; improvvisamente in Italia si è cominciato ad investire in ricerca, con sperimentazioni di fase sia 2, che 3 e 4. Guarda caso, l'unica a non aver subito alcun incremento è la fase 1, perché la regolamentazione ancora non era stata modificata. Ciò è avvenuto da poco tempo, ma in realtà il decreto che ha modificato la normativa sulla fase 1 non è ancora operativo in quanto manca tuttora l'emanazione di alcuni provvedimenti aggiuntivi che lo rendano efficace. Però, anche in questo caso si è assistito ad una risposta da parte delle aziende, una risposta importante, che dà la possibilità non solo ai pazienti italiani di usufruire maggiormente di nuovi medicinali, ma soprattutto rappresenta un importante passo avanti di know how per i nostri ricercatori. (lucido 21)
Concluderei riassumendo in alcuni punti le condizioni per garantire lo sviluppo della ricerca in campo farmaceutico. Anzitutto la presenza industriale, che sicuramente c'è, dal momento che nel nostro Paese sono presenti molte aziende di tutti i tipi, di provenienza multinazionale e nazionale, piccole e medie imprese che rappresentano il substrato sul quale fare affidamento per lo sviluppo; l'alta specializzazione universitaria, che già esiste ma è sicuramente perfettibile, anche grazie alla citata competitività che si sta mettendo in atto nell'ambito universitario; regole certe e procedure snelle, un campo nel quale c’è ancora molto da fare, poiché l'Italia è un Paese dove esistono troppe regole, eccessive richieste di autorizzazioni e troppi vincoli burocratici; agevolazioni fiscali e finanziamenti mirati per progetto, non a pioggia. Le agevolazioni fiscali sono per noi importantissime, perché rispetto a un finanziamento che noi chiediamo - e che magari abbiamo addirittura dopo tre anni, quando praticamente i soldi non servono più, perché se uno doveva realizzare un progetto vi ha già provveduto - noi diamo maggiore importanza alla possibilità di detrarre fiscalmente le spese relative agli investimenti attraverso un procedimento che chiameremmo automatico. Un’iniziativa di questo tipo va presa, così come è stato fatto in altri Paesi che ne hanno tratto grandissimi benefici, come ad esempio la Spagna, che fino a qualche anno fa era più indietro in questo campo e che ultimamente sta recuperando e ci ha addirittura sorpassati in alcuni settori industriali.
Quanto alla collaborazione pubblico/privato, si tratta di un processo che ancora necessita di una maturazione più completa. Ad esempio, uno degli scogli da superare è relativo alla garanzia che deve essere data ad un ricercatore pubblico che va a lavorare presso un'industria privata, che ciò valga come punteggio ai fini della carriera, perché in caso contrario si avrebbe più una penalizzazione che non un vantaggio. 
Occorre ovviamente la capacità competitiva di tutto il sistema Paese, il che significa un impegno delle istituzioni e del Governo a far sì che le condizioni di investimento in Italia siano sempre più favorevoli, al fine di consentire al nostro Paese di assumere nuovamente un ruolo trainante in ambito internazionale.

Sintesi

Negli ultimi decenni la scoperta e la conseguente disponibilità di farmaci sempre nuovi e più efficaci ha contribuito in modo determinante ad un rilevante miglioramento delle condizioni di salute e benessere della collettività. 
Oggi si stanno aprendo ulteriori frontiere verso una nuova era nella lotta alle malattie grazie, soprattutto, ai progressi della genomica e delle tecnologie applicative; si stanno presentando eccezionali orizzonti ed opportunità di salute, benessere, sviluppo economico e sociale. La possibilità di moltiplicare i targets terapeutici, dagli attuali 500 agli oltre 5.000/10.000 futuri, consentirà la realizzazione di farmaci estremamente più efficaci e mirati, quasi personalizzati, con vantaggi terapeutici finora impensabili. 
In questa sfida l’industria del farmaco e’ protagonista centrale: già oggi circa il 95% dei farmaci esistenti si deve all’Industria, i cui costi e rischi di R&D sono in crescita continua, assorbendo una quota del 18-20% dei fatturati, percentuale senza eguali in altri comparti produttivi.
Si tratta di un impegno enorme, per entità degli investimenti, tempi necessari e rischio di fallimento, tant’ e’ che solo 1 molecola su 10.000 arriva in farmacia, dopo circa 12 anni a fronte di una spesa di 1000 miliardi, e solo una su tre di queste genera utili. 
Appare evidente come in un tale contesto sia l’innovazione il valore aggiunto centrale per essere competitivi e quindi premiati dal mercato, consentendo di potere reinvestire per generare ulteriore innovazione. E’ una sfida di competitività che si gioca in un contesto ormai sempre più globalizzato e senza frontiere, dove diventa cruciale la capacità di attrarre investimenti, sia nazionali che internazionali, e dove buona parte della partita si gioca sulla competizione tra ‘’Sistemi Paese’’. 
E’ proprio in questa ottica che diventa necessario mettere insieme le migliori energie e risorse di più attori, pubblici e privati, in un sistema della ricerca che sia integrato e che permetta di generare le migliori sinergie tra Industria, Università, Centri di ricerca, PMI ad elevata specializzazione, Istituzioni nazionali e locali, mondo finanziario. In un sistema così articolato l’ Industria può avere un ruolo promotore e catalizzatore molto importante.
Esempi significativi di sistema integrato di ricerca sono i cosiddetti ‘’Parchi Tecnologici’’ o Clusters, dove sono valorizzati e capitalizzati in modo additivo e complementare capitale umano, scientifico ed imprendito-riale, accademico ed industriale, finanziario ed infrastrutturale, in un contesto di normative e di regole incentivanti sviluppo ed innovazione. 
Uno dei principali fattori di successo e’ la capacità di attrarre sia risorse finanziarie che umane, attraverso finanziamenti pubblici e privati, sgravi fiscali e di imposta ma, soprattutto, nel creare le condizioni ‘’ambientali’’ di formazione tecnica, scientifica e manageriale così come nel travaso reciproco di conoscenze tra università e settori produttivi, pubblici e privati: la cosiddetta cross-fertilization.
Appare evidente come, insieme alle sinergie tra Industria ed Università, sia cruciale il ruolo delle Istituzioni nazionali e locali, attraverso l’adozione di misure e normative favorenti che coinvolgano la giusta remunerazione nel pricing, la copertura brevettuale, la progettualità mista tra pubblico e privato, l’accesso al credito ed al venture capital, la fiscalità, le infrastrutture.
A tale riguardo, negli ultimi tre anni la Farmindustria ha attivato due convenzioni, una con la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e l’altra con la SIF (Società Italiana di Farmacologia).
Entrambe hanno dato e stanno dando dei positivi risultati avendo permesso la realizzazione di molti progetti ed iniziative congressuali o seminari, in diverse università italiane su tematiche di grande interesse come la sperimentazione clinica, la farmacovigilanza, la ricerca, il brevetto.
Nei principali Paesi industrializzati sono ormai eclatanti i casi in cui proprio le Istituzioni locali stanno competendo fortemente tra loro nell’ attrarre sui propri Clusters sia venture capitals, sia high talents (ricercatori e managers) per promuovere conoscenza ed imprenditorialità così da creare le condizioni per generare valore sia direttamente come innovazione ma anche come indotto di ricaduta.
Il nostro Paese e’ purtroppo indietro e deve cercare di recuperare al più presto lo svantaggio, se non vuole diventare un mero mercato di consumo ed essere escluso da uno dei principali settori di sviluppo futuro quale e’ e sarà, appunto, la ricerca e sviluppo per la salute.



TORNA AL PROGRAMMA

TORNA ALLA HOME PAGE DELL'ASMI


TORNA ALLA HOME PAGE
DE "IL NUOVO MEDICO D'ITALIA"


Webmaster: B. J.