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CRISI DI IDENTITA’


I medici che leggeranno queste righe saranno già a conoscenza delle decisioni del Consiglio Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri che il 22 ottobre era convocato per definire la situazione dei vertici della FNOMCeO.
Qualunque sia stato l’esito di tale appuntamento, è possibile ipotizzare che la ‘crisi FNOMCeO’ fa parte di una ‘crisi di identità’ della Professione medica (e anche odontoiatrica) latente da tempo e occasionalmente evidenziata dalle note vicende della controversia con l’Antitrust (vedi a pagina 2), ma che ha ancora bisogno di molto tempo per essere risolta, ammesso che i medici desiderino veramente di risolverla.
La multa dell’Antitrust non può comunque essere invocata quale unico motivo responsabile della richiesta ‘verifica’.

Sono ormai alcuni anni, oserei dire decenni, risalendo all’era dell’avvento della mutualità, che per la professione medica è stato attivato un latente processo di modifica e cambiamento delle ‘regole del gioco’.
Mai apertamente ufficializzate, sono la conseguenza di una progressiva evoluzione del principio di ‘solidarietà sociale’ che, in campo medico, pur confermando il diritto ad una professione tradizionalmente e vantaggiosamente fondata sulla formazione scientifica, etica e culturale, ha progressivamente modificato, o sostituito, alcuni parametri per il riconoscimento del merito, della  qualificazione e dell’esperienza, con nuovi criteri di valutazione.
Tra questi, quello che ha maggiormente influito è stata la considerazione dell’aspetto di ‘compatibilità economica’ del Bilancio Nazionale che, anche in sanità,  considera prevalenti nuovi principi  quali sono quelli di ‘investimento/produttività’ e ‘costo/beneficio’.
Pur enunciando il concetto di ‘investimento produttivo’ per la programmazione di interventi sanitari a favore della collettività, i medici, come gli altri ‘operatori’, sono stati progressivamente messi nella condizione di assolvere ad un ‘servizio’, piuttosto che a rispondere dell’esercizio di una ‘professione’ basata essenzialmente, anche per gli aspetti economici, sulla fiducia e sul tanto richiamato valore del ‘rapporto medico – paziente’.

Non so se coscientemente, ma sicuramente anche la Professione, ha contribuito alla ridefinizione di alcuni termini ispiratori della ‘figura tradizionale del medico’, come, ad esempio, superando e rinnegando la possibilità che la ‘scelta della professione’ potesse essere considerata come scelta di ‘missione’.
Accanto alla qualifica di ‘specialista in…’, una volta quasi unico elemento di differenziazione, sono stati introdotte nuove terminologie, non strettamente legate alla professionalità, come ‘dipendente’, ‘convenzionato’, ‘libero professionista’, e altri aggettivi si sono aggiunti a quelli di ‘universitario’ e
‘ospedaliero’: ‘di famiglia’, ‘di fiducia’, ‘di medicina generale’, ‘ambulatoriale interno’ , ‘ambulatoriale esterno’, ‘di libera scelta’, ‘del territorio’, ‘prelevatore’ , ecc, con tutte quelle legate alla natura dell’incarico ricoperto, quasi a volere proprio confermare la specificità del ‘servizio’ svolto.

La malattia, nel tempo, oltre a conservare la denominazione tradizionale, è diventata, secondo nuovi criteri di raggruppamento, ‘sociale’, ‘ambientale’, ‘da stress’, ‘da turismo’, ecc, con adozione di termini sicuramente validi per una immediata e generica valutazione, ma certamente espressione di diversi livelli di valore per la collettività e per gli eventuali connessi interventi sanitari da attivare.

Le terapie, prescritte dal medico al malato tenendo conto di fattori legati alla conoscenza del soggetto, dell’ambiente familiare, del grado di cultura e delle capacità fisiche e psicologiche individuali, sono entrate a far parte del bagaglio culturale del professionista con  nuovi riferimenti di valore ‘collettivo’, rientrando , a seconda della malattia e non del malato, in ‘protocolli’, ‘linee guida’, ‘medicina basata sull’evidenza’, ecc.

La rappresentanza ‘corporativa’ della professione ha subito l’evoluzione che, facendo salvo
l’istituto ordinistico previsto dalla Legge, ha portato, con riferimento occupazionale, alla frammentazione di sigle sindacali di settore e, con riferimento culturale, a quella delle Società scientifiche  a loro volta frammentate sulla base di una molteplicità di Scuole di Specializzazione che oggi non trovano facile possibilità di accorpamento nel numero ridotto e definito a livello europeo.

La ‘Pletora medica’ che condiziona e ostacola la libertà di scelta ‘post-laurea’ tra ‘libera professione’ e altre ipotesi occupazionali non soltanto legate al Servizio Sanitario Nazionale, 
favorisce il ricorso a iniziative personali e concorrenziali poco ortodosse se non illecite, accentuando la responsabilità di una rappresentanza istituzionale della Professione che, pur riconoscendo la necessità di cambiamenti, deve preoccuparsi di ipotesi e progettualità che prevedono modifiche sostanziali fino alla soppressione dell’Ordine.

La controversia che dovrà decidere se l’attività del medico configuri o meno quella di una ‘impresa’, rappresenta la punta di un iceberg che non lascia vedere la parte sommersa dei rischi che possono derivare dall’apporto di capitali da parte di chi, estraneo alla professione, dell’impresa chieda di essere partecipe, o da parte del medico che, operando in regime libero professionale, dall’imprenditore chieda di essere finanziato.
Si riconosce ad ogni cittadino il diritto di scelta tra ‘pubblico’ e ‘privato’. 
Ma il cittadino come potrà essere ugualmente garantito da un medico ‘imprenditore di se stesso’ rispetto al medico che ‘lavora’ nell’ambito di una impresa basata, o che si avvale dell’apporto di capitale esterno e che, legittimamente, da tale ‘investimento’ aspetta un ‘ritorno’  economico? 
Che fine farà il tariffario delle prestazioni professionali? Il ‘costo’ della prestazione sarà veramente libero, o condizionato e stabilito dall’impresa in accordo con nuovi ‘sindacatini aziendali’ che contratteranno sull’esempio di quanto è avvenuto con il diritto riconosciuto ai sindacati medici di contrattare la parte economica con il S.S.N.?
Che ne sarà e a chi sarà affidata la programmazione, il controllo e la realizzazione dell’aggiornamento, finalmente riconosciuto obbligatorio con provvedimento legislativo?
 Resterà compito istituzionale dell’Ordine, o sotto il controllo del Ministero e delle Regioni sarà affidato a strutture pubbliche e/o private, alle Università, alle Società Scientifiche, ai Sindacati di categoria ? 
Chi avrà il compito di controllare il rispetto delle norme deontologiche e sulla pubblicità e a chi sarà affidato il giudizio in caso di violazione ed il potere sanzionatorio?

Forse, dopo il 22 ottobre, potremo azzardare qualche prima valutazione in base alle risposte che, con le sue scelte, la Professione avrà dato agli interrogativi e ai dubbi che rappresentano oggi l’essenza della ‘crisi di identità’ del medico, del suo ruolo sociale e del suo futuro professionale.  
Sempre che il 22 ottobre non sia prevalso il principio di continuare a trascurare il potere e la forza rappresentativa di una ‘collettività professionale’ insostituibile con decisioni contingenti e limitate da opportunismi e personali simpatie.

Mario Bernardini

Sommario n. 9/2000


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