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Lettere alla Redazione

Check-up salute Cronaca di un trapianto

Come Le ho anticipato tempo fa, a nome dei colleghi-amici di Torino Ezio Ercole ed Alberto Fumi, in allegato Le invio un articolo per il mensile, da Lei diretto, che ricevo regolarmente e, colgo l’occasione, per ringraziarla sentitamente.
Il mio scritto si riferisce, in via temporale, alle ore di una giornata nata sotto varie difficoltà, problemi e disguidi di ogni sorta ma, sul finire, l’impegno dell’uomo, aiutato dal progresso tecnologico sempre in via di modernizzazione, ha prevalso ed ha vinto la sua battaglia.
In questi giorni si parla, in campo medico chirurgico, di sostituire l’elemento umano, durante certi interventi, con un robot. Ben venga il nuovo, fa parte del progresso scientifico che non deve mai fermarsi, ma attenzione alla insostituibilità dell’uomo in  ogni istante delle ore che deve necessariamente trascorrere in camera operatoria e non , proprio per la sua capacità, sia nella lotta immane contro il tempo (in certi casi cardio-chirurgici rimane il primo elemento), che per le insidie, i disguidi, le priorità che fanno operare delle scelte, le sorprese a cui va posto immediato rimedio, ecc.
Questo è il mio pensiero, da leggere tra le righe delle mie modeste annotazioni su di un trapianto cardiaco, effettuato nel mese di giugno scorso, all’Ospedale Molinette di Torino, nell’Unità Operativa Universitaria di cardiochirurgia.

Silvano Bertagnolio

Una ragazza di 17 anni, ricoverata nell’Unità Operativa Universitaria di Cardiochirurgia del più grande Ospedale di Torino, veniva trovata affetta da “miocardiopatia dilatativa”, grave patologia caratterizzata da un notevole disagio cardiocircolatorio, provocato dalla dilatazione dei ventricoli cardiaci.
Dato che la paziente peggiorava di giorno in giorno, si decideva di intervenire con l’unica terapia risolutiva, rappresentata dal trapianto.
Lo scorso 19 giugno la ragazza entrava in lista d’attesa ed il 22 alle ore 14, in camera operatoria. Viste le condizioni ormai a rischio totale, veniva instaurata la CEC e cioè la circolazione extracorporea, con la quale si dovevano collegare i vasi (vene cave ed aorta) alla macchina cuore-polmoni.
Da questo momento iniziava l’attesa spasmodica di una segnalazione di ritrovamento di una potenziale donatrice, compatibile con il caso in esame.
Trascorrevano poche ore ed alle 18, dello stesso giorno, arrivava la notizia che presso l’Ospedale di Pisa c’era la possibilità di espiantare il cuore di una ragazza, purtroppo anch’essa in giovane età.
Partiva allora da Torino-Caselle un “Piper” ed in meno di un’ora atterrava nella città toscana.
Purtroppo qui iniziavano le difficoltà, infatti il padre della donatrice rifiutava categoricamente il prelievo cardiaco alla propria figlia e l’équipe non poteva esimersi di fare un mesto ritorno a Torino.
A questo punto, mentre il piccolo aereo stava compiendo le manovre per il decollo, giungeva via radio un’altra segnalazione di una seconda donatrice, in quel di Pistoia.
L’aereo volava a Firenze e, dopo una corsa in auto, si raggiungeva Pistoia in breve tempo. Ma un’altra delusione attendeva l’équipe di Torino, infatti i parenti della donatrice non firmavano il “consenso informato” per l’espianto e per la seconda volta il piccolo “Piper” era costretto a riprendere il volo verso Torino, con ormai la disperazione negli occhi di tutti, così come l’équipe, che attendeva in sala operatoria a Torino, cominciava a perdere ogni speranza.
A questo punto succedeva una cosa che sa dell’incredibile: si presentava, infatti, un terzo caso, nella cronaca di una notte in cui l’agitazione aumentava con il passare delle ore di lotta contro il tempo.
Il piccolo aereo, ancora una volta, cambiava rotta per raggiungere Ciampino, e poi in auto un Ospedale della Provincia romana, ove esisteva la possibilità di espiantare un altro organo per la ragazza di Torino, le cui condizioni erano ormai divenute assai critiche ed il rischio assumeva proporzioni rilevanti.
Era l’una di notte e bisognava fare presto, era necessario compiere il prelievo in tempi ristrettissimi.
Purtroppo, però, ancora una volta succedeva l’inimmaginabile e l’imponderabile:
si trovavano presenti in Sala operatoria dei medici di Napoli che già stavano per procedere all’intervento sul cuore di una ragazza, mancata da poco.
Nascevano discussioni sul da farsi ed alla fine l’équipe napoletana, non avendo emergenze cardiache in concomitanza, acconsentiva ai medici di Torino di compiere il tanto atteso prelievo.
Erano ormai le due ed un’ora più tardi il piccolo “Piper” sorvolava la città piemontese, con il prezioso carico.
Qui avveniva l’incredibile raggiungimento del colmo della sfortuna ed il disagio pareva non avere mai termine.
L’Aeroporto di Torino-Caselle, dopo una certa ora, rimane chiuso al traffico. Ma con una telefonata via radio e viste le urgenti ed improcrastinabili necessità, si preparava in emergenza tutto l’apparato dello scalo torinese, richiamando il personale e mettendo in funzione ogni mezzo, dal collegamento dei controllori di volo all’illuminazione delle piste di atterraggio.
Finalmente il piccolo aereo poteva atterrare.
L’équipe arrivava alle Molinette quasi all’alba, la speranza cominciava ad avere il sopravvento, tutto sembrava tornare nella normalità.
Si procedeva al reimpianto in condizioni difficilissime, ma l’impegno di tutto il Reparto di Cardiochirurgia, stremato più che altro, dalla lunga ed imprevedibile durata dell’attesa (l’équipe era in servizio da 24 ore!), poneva termine all’intervento.
Verso le 17 del 23 giugno, dopo tante ore di circolazione extracorporea, il cuore nuovo della ragazza di Torino ricominciava a battere ed i polmoni a funzionare regolarmente, dopo un periodo di inattività durato, purtroppo, troppe ore.
Sono questi gli istanti più difficili di tutto l’intervento e cioè quando viene fermata la macchina cuore-polmoni e l’apparato cardiocircolatorio riprende in pieno le sue funzioni.
Questi momenti cancellano tutte le avversità, le ansie, le paure, la stanchezza, gli scontri contro gli episodi negativi che si possono presentare, ma sono questi gli attimi che rendono l’uomo veramente grande e danno il giusto valore al suo desiderio di vincere la battaglia. E solo questa, perché la guerra continua, purtroppo, con gli altri casi che sicuramente si presenteranno.
Sono minuti di attesa terribile, nei quali la vita è sospesa ad un filo molto esile che si chiama speranza.
Speranza di vivere e di far vivere!
Si può parlare, in casi come quello descritto, di prodigi, di cose sorprendenti, di grazie ricevute?
Sarei più d’accordo nel definire il fatto annotato, come un evidente “successo della scienza e della coscienza” attuato da persone che lavorano nelle più avverse condizioni, che lottano contro il tempo, che perdono la speranza, la riacquistano ed alla fine vincono.
Anche se queste grandi vittorie, il più delle volte, rimangono nell’ombra delle camere operatorie, delle sale intensive e dei reparti di rianimazione degli Ospedali.
E’ questo il motivo che mi ha spinto a narrare l’episodio, avvenuto in una calda e calma notte estiva, in un grande Ospedale torinese, ove il tempo sembrava essersi quasi fermato, con la ridente collina sullo sfondo del grande fiume che attraversa la città e quando tutto pareva rivoltarsi contro, avveniva che la ragazzina diciassettenne di Torino, poteva riprendere il suo cammino, riaprendo i suoi grandi occhi alla vita ed abbozzando un lieve ed impercettibile tentativo di sorridere dicendo grazie ai  medici, agli anestesisti, agli infermieri che la osservavano in piedi senza fiatare, tutti intorno al suo letto di sofferenze, qualcuno con le lacrime agli occhi, ma il cuore pieno di speranza per il domani, che era già anche l’oggi.....

S. B.

Sommario n. 7/2000


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