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Degenerazione maculare dell’anziano

TERAPIA FOTODINAMICA 



La Degenerazione Maculare retinica dell’anziano (AMD) è,
nei Paesi industrializzati, la principale causa di cecità 
nelle persone di età superiore a 50 anni.
Legata all’età è aumentata negli ultimi anni principalmente per due motivi: 
1) l’allungamento della vita, cui è andata incontro 
la popolazione dei Paesi più economicamente sviluppati; 
2) i miglioramenti sostanziali prodottisi nella terapia
delle altre patologie oculari tipiche dell’età avanzata.
Si può così prevedere che, nel prossimo futuro,
la degenerazione maculare legata all’età 
abbia nella popolazione un peso ancora maggiore: 
già oggi ne risulta colpito, in varia misura,
un ultrasettantacinquenne ogni tre, 
ma secondo uno studio USA molto attendibile (Hymann), 
la sua prevalenza fra le persone sopra i 50 anni
potrebbe triplicarsi nell’arco del prossimo venticinquennio, 
ovvero per il 2025.

Attenzione alla macula

La macula (lutea) è la parte più centrale della retina e quella più importante, in quanto più ricca di cellule fotorecettrici: è infatti sulla macula che noi cerchiamo, talvolta basculando anche la testa se non basta il movimento oculare, di far ricadere le immagini quando vogliamo vederle in modo dettagliato, preciso. Si legge, si scrive, si guida, si svolgono tutte le attività più impegnative utilizzando come punto di concentrazione visiva dell’attenzione proprio la macula.
Conseguentemente, il paziente affetto da degenerazione maculare avrà grandi difficoltà a compiere tutte le azioni in cui è necessario fissare: riuscirà, grazie alla funzione svolta da tutta la retina circostante la zona centrale degenerata, a muoversi in modo autonomo, a vestirsi , a camminare in un ambiente noto senza urtare gli ostacoli, ma non potrà guardare in viso e riconoscere meglio i suoi interlocutori, guardare il televisore o il videoterminale o guidare.
Esistono due tipi di degenerazione maculare legata all’età: la forma secca e la forma umida. La prima, molto più frequente (85% dei casi), consiste in una graduale, fortunatamente lenta, atrofia del tessuto coinvolto, anche perché nessuna terapia per questa forma secca è al momento disponibile.

Umida: più invalidante, 
ma più trattabile

La forma umida, seppure più rara, è invece quella più invalidante: il 90% dei casi di cecità da generazione maculare è infatti dovuto alla forma umida.
In questo caso, un vaso sanguigno proveniente dalla coroide (il tessuto su cui poggia la retina) attraversa la membrana che normalmente separa retina e coroide (membrana di Bruch) e va anormalmente a crescere all’interno della macula, accompagnandosi pure con una impalcatura fibrosa. Il tessuto retinico maculare, a causa di questa invasione fibro-vascolare, subisce gravi ed irreversibili danni, con una progressione che può durare in tutto solo due mesi o fino a tre anni: da ultimo, tutta la macula retinica risulta coinvolta e obliterata e il centro del campo visivo appare invaso da una macchia che lo offusca e poi cancella.

Con l’età, indiziati diabete,
Fumo, sole

Sebbene la degenerazione maculare dell’anziano si sviluppi tendenzialmente in un singolo occhio, nel 50% dei casi entro cinque anni si estende anche nell’altro occhio: senza interventi la maggior parte degli occhi colpiti dalla forma umida diviene funzionalmente cieco entro 2 anni dall’inizio della degenerazione.
L’unico sicuro fattore di rischio per l’insorgenza e la progressione della degenerazione maculare dell’anziano è finora l’età.
Gravi indizi inoltre pesano, per quanto riguarda in particolare la forma peggiore (cioè la umida) sul fumo di sigaretta, sul diabete (limitatamente agli ultra settantacinquenni) e soprattutto l’abituale esposizione degli occhi alla luce solare estiva senza protezione di occhiali da sole o visiere.

Finora: coagulare/amputare

La fotocoagulazione laser era restata finora l’unico trattamento tendenzialmente efficace della degenerazione maculare di tipo umido. E’ però una terapia consistente nel distruggere l’area della macula coinvolta dalla presenza della proliferazione fibrovascolare: si tratta, cioè, di una vera amputazione tissutale.

Ora è arrivata la fotodinamica

La Terapia fotodinamica che arriva ora all’applicazione clinica per le maculopatie umide, appunto le peggiori, rappresenta una via innovativa, con notevoli risultati di successo, espressi già dalle varie fasi di sperimentazione clinica, con approvazione dell’FDA, che l’hanno portata ora anche in Italia all’applicazione su pazienti selezionati in 10 Centri Oftalmologici universitari, ospedalieri e di ricerca in città strategicamente identificate sul territorio nazionale (Roma, Milano, Genova, Padova, Ancona, Chieti, Bari, Siracusa).
La terapia fotodinamica viene eseguita con raggi laser dolci, di lunghezza d’onda e potenza ridotte, senza applicazione di calore, dopo aver iniettato in circolazione una sostanza, la verteporfina, pigmento colorante e, soprattutto fotosensibilizzante.
La verteporfina, una volta iniettata nel circolo sanguigno, tende a fissarsi a livello dei vasi che stiano troppo attivamente proliferando. La quantità di energia laser necessaria a chiudere la membrana fibro vacolare che ha invaso la macula, diventa a quel punto molto bassa. Tanto bassa da risultare innocua per il tessuto retinico sano non direttamente coinvolto nella presenza delle lesioni neovascolari. Ne risulta un effetto terapeutico massimo con effetti collaterali minimi. Non più un’amputazione tissutale, come nel caso della terapia laser fotocoagulativa convenzionale, ma invece un trattamento mirato sul tessuto patologico, che risparmia quello sano adiacente.

Un metodo molto semplice

La terapia fotodinamica della degenerazione maculare dell’anziano ottiene infatti l’eliminazione della membrana neovascolare invasiva attraverso un metodo molto semplice. La procedura viene eseguita in due fasi:
a) iniezione endovena o infusione lenta di verteporfina (alla dose di 6mg/m2 di superficie corporea) diluita con una soluzione di destrosio al 5% in dieci minuti;
b) dopo 15 minuti dall’inizio dell’infusione, applicazione del raggio laser focalizzato sulle aree retiniche da trattare, evidenziate e sensibilizzate dalla verteporfina, applicato per 83 secondi (con un’intensità di 600 mW/cm2 per dare un’energia pari a 50J/cm2).
(E’ una metodica di per sé già ampiamente studiata e utilizzata negli ultimi 20 anni per il trattamento delle neoplasie dermatologiche).

Verteporfina, Laser, 
LDL & radicali liberi

La verteporfina si accumula selettivamente nelle cellule endoteliali (della superficie interna) dei vasi invasivi grazie alla sua liposolubilità: infatti essa va a legarsi alle lipoproteine a bassa densità (LDL), di cui le cellule endoteliali vascolari sono ricche.
La verteporfina (che ha un’emivita di 2-5 ore) viene poi eliminata completamente dall’organismo nel giro di 24 ore.
La sua attivazione avviene soltanto dopo applicazione di un raggio laser sulle aree da trattare, di lunghezza d’onda pari al picco di massimo assorbimento della sostanza stessa: è un laser a diodi di piccolo ingombro (che opera ad una lunghezza d’onda di 689 + - 3nm): non ha azione termica, per cui non si registrano danni alla retina sovrastante.
La verteporfina, una volta raggiunta dal raggio laser, esplica la sua funzione secondo due modalità: a) disgregazione sia strutturale che funzionale dei neovasi invasivi in seguito alla formazione di radicali liberi, sviluppati dall’energia sprigionata dalla verteporfina irraggiata, i quali reagiscono con i lipidi delle membrane cellulari proliferative; b) una modificazione della struttura delle proteine e degli acidi nucleici delle cellule endoteliali ad opera delle molecole di ossigeno attivo (singoletto) ottenute dalla loro collisione con le particelle di verteporfina irraggiata.

Una terapia 
ambulatoriale

La terapia fotodinamica con verteporfina può essere eseguita ambulatorialmente. Non è dolorosa. Per il paziente l’unica precauzione da seguire è non esporsi direttamente alla luce solare, naturale o artificiale, giusto nelle 24 ore successive.
La sicurezza, la selettività e l’efficacia di questa terapia sono state dimostrate mediante studi sperimentali prima e con i trials clinici su  pazienti dopo, con lo scopo di meglio determinare le dosi ottimali di verteporfina, e il tempo di irraggiamento e la lunghezza d’onda del raggio laser.
Già le prime indagini avevano messo in evidenza l’efficacia clinica di questa terapia, dando un miglioramento dell’acuità visiva dopo circa tre mesi.

I primi risultati: 
sempre buoni da 2 anni

I primi risultati, che avevano già aperto la strada al riconoscimento FDA e alla prosecuzione degli attuali studi clinici in Italia, sono adesso (28 marzo 2000) stati ulteriormente ribaditi dalle rilevazioni ancora dopo 2 anni dall’inizio delle sperimentazioni cliniche mondiali, mostrano che: la terapia fotodinamica con la verteporfina ha garantito il mantenimento della funzione visiva (cioè il blocco della degenerazione) al 61,4% dei pazienti trattati, contro il 31% del gruppo di controllo. Inoltre risulta ben tollerata, e soltanto nel 2% dei pazienti si sono verificati dei minimi inconvenienti: come una reazione infiammatoria nell’area di iniezione, una lieve reazione di fotosensibilità e, infine, una diminuzione transitoria del visus. In un 13% dei pazienti trattati con verteporfina la visione non solo ha smesso di degenerare, ma è addirittura migliorata.
In conclusione la terapia fotodinamica con verteporfina appare come una svolta significativa nella terapia della maculopatia degenerativa senile umida. La notizia riguarda milioni di persone nel Mondo: ogni anni se ne rilevano mezzo milione di casi nuovi (200.000 in Usa, 300.000 in Europa, in Italia 10.000). Una nuova vittima ogni minuto, prevalentemente femminile.
Si tratta comunque di un trattamento complesso che richiede: personale altamente specializzato, adeguate strutture di riferimento, particolare attenzione alla diagnosi precoce a livello degli oftalmologi di base.

Sommario n.5/2000


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