Una Mostra organizzata dal Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Mater
incanto e disincanto d’amore
Fuori dalla spettacolarizzazione delle grandi mostre e dalle programmazioni
culturali per il Giubileo,
una piccola ma significativa mostra sulla maternità, ha colto
il senso più profondo del simbolismo spirituale
e universale della maternità. Programmata dal Ministero per
i Beni e le Attività Culturali,
la mostra si è svolta nel complesso dei Dioscuri a
Roma dal 13 gennaio al 19 febbraio.
Sostenuta da un comitato scientifico di alto livello internazionale
( Danielle Gourevitch, Mirko Grmek, Veronique Dasen, Adriano Bompiani,
Romolo Augusto Staccioli, P.Alessandro Margarit e altri)) la mostra
“Mater incanto e disincanto d’amore” si è collocata nell’ambito
di quelle manifestazioni che,
a torto ritenute minori, hanno rivelato invece una potenziale quanto
espressiva raffinatezza culturale.
Il tema che si presentava già con un bel titolo,
ha toccato con delicatezza la nostra ancestrale intimità, offrendo
la giusta opportunità per dedicare a noi stessi una parte di quel
tempo autentico, che sempre più ci viene sottratto dai ritmi incalzanti
della nostra quotidianità
Sono state affrontate in chiave antropologica, archeologica
e storico-medica alcune sintesi su un aspetto, quale quello della maternità,
che ha conosciuto e visto la donna come unica responsabile dell’evento
procreativo. I reperti esposti, hanno offerto uno spaccato della maternità
a partire dalla preistoria, con i tratti di antica naturalezza e semplicità,
vissuti nel conflitto tra gioia e rifiuto, desiderio e abbandono del bambino.
Forti emozioni di un sentimento naturale sullo sfondo di una drammatica
mortalità infantile sempre presente nella storia, drammaticamente
presente oggi, ancora, nei paesi del terzo mondo. Una rapida rassegna dei
materiali esposti ci porta molto indietro nel tempo, nel periodo (24000
anni fa circa) in cui una donna , morta con il suo bambino in grembo, fu
sepolta in una grotta ad Agnano, nei pressi di Brindisi. Si tratta di Delia,
questo il nome che gli antropologi le misero nei giorni del rinvenimento.
Reperto di notevole importanza mondiale ed unicum di caratterizzazione
cultuale di devozione religiosa.
Erano poi esposte alcuni originali (davvero superbe) di Veneri Steatopigie
risalenti al Paleolitico superiore, prime rappresentazioni di un’arte sacrale
inneggiante la donna ed il mito della fertilità.
A seguire. oggetti di età classica greca ed etrusca: una serie
di matres matutae, nelle tipologie più diverse, sublimate da un
contorno di giochi per bambino ( sonagli, biberon, maialino etc…).
L’esaltazione dell’incanto della maternità si è espressa
nel momento più decisivo con il mito della nascita di Elena; due
vasi, di cui uno dipinto da Nicia (V sec. a. C.), provenienti dal museo
archeologico di Napoli, in cui viene manifestato tutto il potenziale significato
della nascita.
I Dioscuri che osservano l’uovo da cui nascerà Elena, e finalmente
Elena, piccola figura femminile, già bella, sull’ara, con Leda e
i Dioscuri.
Questa significativa sezione si avvaleva di alcuni bronzetti, davvero
straordinari, che si rifanno ai culti di Iside e Osiride.
La presenza di due piccoli ed esclusivi bassorilievi, noti al mondo
medico, in cui sono raffigurate scene da parto, ed un bassorilievo in cui
Auge porge Telefo appena nato avvolto nelle fasce ad Ercole sono stati
la sintesi essenziale ed emozionante di questa prima parte, sublimata da
altri numerosi oggetti, sull’incanto della maternità.
Una sezione espositiva introduceva poi, nell’abbandono del bambino.
Si è percepito, immediato, il dramma della maternità, non
tutto infatti nella storia della procreazione è stato
incanto.
I registri del fondo gettatelli e baliatico, provenienti da vari archivi
d’Italia, illustravano una realtà che, documentata già a
partire dal 1300, è provata da elenchi di bambini abbandonati, di
balie chiamate ad assistere nei brefotrofi i neonati depositati nella ruota.
Sono trascritti in pagine fitte i nomi delle balie, i tempi di poppata
ed i salari percepiti.
E ancora, esposti un centinaio di contrassegni che accompagnavano
il bambino nell’atto della deposizione, dando una chiave di lettura davvero
straordinaria sulla pietà popolare.
Non solo, nell’abbandono si configura anche l’elemento drammatico della
morte del bambino, molto spesso provocata dai genitori stessi. In questo
la storia certamente non è avara nel fornire testimonianze fin dai
periodi più antichi. Anche le pratiche abortive, non sono
state trascurate. Erano espressamente evidenziate, con erbari, contenitori
, pessari ect, le tecniche più in uso e conosciute, le ricette abortive
del periodo medioevale completavano questa sezione.
In altre sezioni facevano bella presenza gli strumenti ad uso ostetrico-ginecologico
di epoca romana e rinascimentale, a dimostrazione di una tecnologia che
per molti versi è rimasta inalterata.
Sarà nel XVII secolo che comparirà, invece, il nuovo
strumento ostetrico che rivoluzionerà le procedure per i parti difficili,
infatti erano esposti una serie tipologica di forcipi di periodo seicentesco.
Una serie di modelli didattici del Manfredini, piccole e raffinate
sculture in cera del XVIII secolo, rappresentavano un altro dei momenti
fondamentali di questa mostra.
Ancora, vasi da farmacia, lettini, seggiole da parto
e altri oggetti interessanti concludevano la visita di questa mostra,
corredata da oltre 150 reperti originali provenienti da importanti musei
nazionali, dai numerosissimi contrassegni e da alcune riproduzioni
. Ma, ancor prima di congedarsi, il percorso di per sé già
avvincente e inquietante, poneva una obbligata sosta in una saletta dove
era abbozzato un laboratorio antico ed uno moderno: esposti microscopi
del settecento e moderni, libri antichi sull’ostetricia ed altri sulla
embriologia e sulla bioetica, una serie di provette, di capsule di Petri,
ed altro ancora. Si è percepita immediata la riflessione di come
oggi la vita sia possibile manipolarla, inventarla e crearla in laboratorio.
Al di là d’ogni implicazione di carattere
religioso, morale, politico, sociale, e via dicendo, si evidenziava da
questa mostra, un monito per una speranza che potrebbe essere la chiave
di volta per il nuovo millennio. Prima con tenerezza, poi con severità
ed infine con coraggio, si dirompe da questo straordinario messaggio quel
grido materno dell’uomo a rivendicare e riappropriarsi della sua originale
spiritualità.
La possibilità, di avere a disposizione la
sala conferenza annessa alla sala mostra, ha consentito di promuovere quattro
giornate di incontri su temi di bioetica che riguardano non solo
la riproduzione assistita, ma anche la manipolazione genetica in generale.
Tra gli altri hanno relazionato, i proff. Roberto Russo della Università
“La Sapienza” di Roma e Luciano Sterpellone che hanno tenuto una
vera e propria lezione di storia agli studenti del corso di diploma
in ostetricia; I proff. Romano Forleo e Giovanni Berlinguer che hanno dissertato
su gran parte delle nuove problematiche, con un occhio di riferimento alla
antichità; l’antropologa AnnaMaria de Majo(Università “La
Sapienza”) ha trattato il tema della mortalità infantile tra passato
e presente , mettendo in evidenza una drammatica realtà evolutiva;
Adriano Bompiani ha tenuto invece, una conferenza magistrale sulla storia
antica sulla ostetricia e la ginecologia; Dante Manfredi ha descritto molto
bene l’aspetto dell’allattamento nel periodo antico nonché
i problemi patologici della mammella.
C’è certamente un fondo di amarezza nel vedere una mostra
così bella e di alta qualificazione culturale limitata nel breve
spazio di trenta giorni. Di fronte poi, agli apprezzamenti di un pubblico,
specializzato e non, proveniente anche appositamente da città lontane,
a recensioni inaspettate, quali quelle ad esempio del Corriere della
Sera (tre volte), Il Sole 24 Ore, o Le Scienze ed altre ancora, agli incontri
scientifici che si stavano proponendo, il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali che poco aveva incoraggiato l’iniziativa, poteva forse, fare
qualcosa di più. Soprattutto se consideriamo che l’ingresso era
libero e l’occasione unica, per farne magari, un piccolo evento,
in questo anno Giubilare, di autentico simbolismo universale. Ma questa
è un’altra storia. |