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Sanità del Lazio in controluce
Carenze organizzative e disomogenea distribuzione di risorse
segnalate dal Segretario Regionale  Cimo Giuseppe Lavra



Roma, 16 marzo 2000
Decisamente non ci siamo: il Sistema sanitario regionale continua a fare acqua,  e la CICMO (Confederazione italiana medici ospedalieri) del Lazio lo ha dimostrato con tecnica asettica presentando un proprio documento di studio sul Sistema sanitario regionale, sul quale ha chiamato a confrontarsi esponenti politici regionali tanto di maggioranza quanto di opposizione.
Secondo la Cimo Lazio, la Regione soffre di gravi carenze dovute al micidiale intreccio tra il disavanzo finanziario, la politicizzazione delle aziende sanitarie, e un indirizzo di favore eccessivo verso la ospedalità privata convenzionata.
Il Lazio, ha rilevato il Segretario regionale della Cimo, Giuseppe Lavra, consuma ben il 19% dei miliardi spesi per l’assistenza convenzionata in tutt’Italia, e questo proprio mentre l’evidente esubero di posti letto nella Regione è una causa fra le principali del deficit finanziario. Questo risulta da dati CENSIS relativi al 1997. Peraltro, se c’è stata riduzione di posti letto, essa ha operato nel settore degli ospedali pubblici a conduzione diretta.
Una curiosità: se si consulta il sito Internet del Ministero della sanità alla voce presidi ospedalieri privati accreditati della Regione Lazio, inspiegabilmente appare un quadro relativo alla Regione Marche. E’ forte la tentazione di trarne una conclusione maligna. Ancora: il deficit pro capite nel settore sanitario è molto più alto nel Lazio che nella media nazionale: per ogni cittadino è presente un disavanzo pro capite di 211.000 lire per il solo anno 1998, contro un dato comparativo nazionale di 160.000.
I dati Cimo indicano nel Lazio una maggiore consistenza del personale amministrativo rispetto alla percentuale nazionale e, al contrario, una minore consistenza del personale infermieristico nella Regione rispetto al dato nazionale. A tacere, ha osservato ancora Lavra, del malcostume vigente di imboscare presso gli uffici, a svolgere funzioni amministrative, personale infermieristico ed ausiliario sottratto alle corsie di degenza: un fenomeno che ci risulta molto operante ma sfugge alle rilevazioni dei dati ufficiali.
Impressionante la situazione dell’emergenza ospedaliera: il solo Ospedale Sandro Pertini, pur essendo DEA di I livello, effettua più prestazioni di ben 5 DEA di II livello. I DEA di II livello del settore EST (Policlinico Umberto I, San Giovanni Addolorata, S. Eugenio CTO) assistono un bacino d’utenza triplo rispetto a quello dei DEA del settore OVEST (San Filippo Neri, Policlinico Gemelli, San Camillo) tre volte tanto in termini di abitanti. Ma le risorse disponibili, invece, sono superiori per il settore ovest, che dispone di 623 miliardi contro i 537 del settore est. Un bell’esempio di oculata gestione delle risorse.
A fronte di questi, come di altri dati, risulta una gestione complessiva del sistema sanitario orientata a rendere i professionisti della sanità totalmente sottoposti al potere amministrativo politico; nella quasi totalità delle aziende sanitarie sono scaduti i Consigli dei sanitari, unico organo che consente la partecipazione del personale dipendente alle scelte di carattere tecnico professionale, e solo due aziende hanno provveduto al rinnovo di questo organismo. Le dotazioni organiche dei medici sono inadeguate perché non correlate ai carichi di lavoro e spesso definite solo numericamente, senza differenziazione secondo le specialità e discipline mediche. La gran parte delle aziende sanitarie non ha realizzato la dipartimentalizzazione dei Presidi Sanitari.
E le cose non vanno meglio sull’altro fronte, quello dei pazienti. Già sul piano nazionale esiste una indagine effettuata dalla Commissione europea nel 1998, che certifica come solo il 15% degli italiani si dica abbastanza soddisfatto del Servizio Sanitario Nazionale, contro un 55% dei francesi, un 53% dei tedeschi, un 40% degli inglesi, un 31,9% degli spagnoli. Ma recentemente anche l’ISPO ha condotto un sondaggio sul gradimento del servizio sanitario, che contro un voto medio europeo di 63 attribuisce un 74 alla Francia ed un imbarazzante 48 all’Italia. Cambia la fonte, ma la musica è la stessa.
Nel Lazio, secondo un’indagine Cimo il 69% degli intervistati ritiene “di aver bisogno di qualche conoscenza per essere curato in ospedale”, contro un 23% che non lo ritiene necessario, il 60% degli intervistati non ha notato miglioramenti nel servizio ospedaliero negli ultimi cinque anni contro il 22% che li ha notati.
La proposta di Piano sanitario regionale, ha concluso Lavra, rischia, in tali condizioni, di limitarsi ad una sfera meramente teorica senza intervenire concretamente sugli aspetti che si vorrebbero correggere e razionalizzare. Manca una ricognizione rigorosa delle risorse strutturali umane ed economiche che danno vita ai servizi sanitari regionali. La Cimo richiede l’istituzione di una Conferenza regionale che definisca criteri e principi ispiratori dell’assetto organizzativo dei Servizi sanitari, che dovrà avvalersi di una Commissione composta in modo paritetico da tutti i soggetti interessati. Tra i quali, i medici che restano il centro della Sanità: i medici e non i burocrati. Nessuno però si preoccupa, intanto, del fatto che in Italia è prevista per legge la nomina politicamente interessata dei primari ospedalieri.

Sommario n.3/2000


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