Testata
 
 

50° ANNIVERSARIO ASMI (1949-1999)

SESSIONE SCIENTIFICA

Diritti umani e biomedicina
 



Interconnettere etica scienza economia

di Ivan Cavicchi(*)


 


Sono lieto di partecipare a questo Convegno non solo in qualità di Direttore Generale di Farmindustria, ma anche come neoiscritto all’Associazione, avendo la carica di Direttore responsabile di una rivista appena fondata.
Affronterò il tema affidatomi partendo dal mio settore specifico. Un farmaco è generalmente composto da un principio attivo, dietro il quale vi è molta etica, molta scienza, ma vi è anche molta economia, sicché il farmaco viene definito un bene etico, che non è esattamente un bene qualsiasi. Tuttavia, non è sempre facile trovare le forme equilibrate di interconnessione tra i mondi che fanno il farmaco, anzi, spesso abbiamo di fronte un’organizzazione che interviene, che decide sul farmaco, e che non è una organizzazione interconnessa, ma spesso concepita per divisioni. In genere, l’etica è appannaggio del Ministero della Sanità, la scienza dovrebbe riferirsi al Ministero della Ricerca Scientifica e l’economia al Ministero dell’Industria. Il più grande ostacolo, per chi si occupa di farmaci, è dato proprio dalla difficoltà di ricomposizione che, sul piano politico, implica di incontrare per lo meno una metà del Governo. Non esiste, infatti, un Ministero del farmaco, onnipotente e onnicomprensivo, ma una articolazione per competenze. 
A me piace dire che dietro un farmaco non c’è solo scienza, etica ed economia, ma anche  qualcosa di più, e vorrei introdurre il concetto di differenza tra l’idea di farmaco e l’idea di rimedio. Il farmaco è sicuramente un principio biochimico, etico, scientifico, ma l’idea di rimedio è ancora più grande, coinvolge il mondo culturale del malato, il contesto terapeutico, il mondo culturale del terapeuta; implica un mondo fatto di molti mondi. 
La stessa cosa vale per la terapia. Se noi intendessimo la terapia in senso riduttivo, concluderemmo che essa è un atto farmacologico in senso stretto; ma se la reinterpretassimo in termini di cura (ieri, alla Conferenza Nazionale sulla Sanità se ne è parlato molto) si dovrebbe riconoscere che è qualcosa di più. La cura è ancora più complessa ed ha implicazioni antropologiche ed etiche.
Torno a dire, però, che è davvero molto complesso sintetizzare valori etici, scientifici ed economici in un unico valore. 
L’idea che più mi è piaciuta e che potrebbe esprimere questo valore è quella della “sapienza”, qualcosa che emerge da una dinamica di interazione, da una coemergenza. Ma voi sapete che non abbiamo strumenti così raffinati, che siano in grado di misurare questo valore, così ci accontentiamo di strumenti di misura approssimativi; il costo/beneficio, ad esempio, che va molto di moda; il concetto di efficacia; il concetto di appropriatezza, che pure è attualmente in auge. Tuttavia, io credo che dovremmo cominciare a considerare l’interdipendenza tra i valori etici, i valori scientifici ed i valori economici, proprio come una risorsa in quanto tale. Lo sostengo e lo sottolineo perché siamo ancora lontani dal considerare l’interdipendenza come una risorsa e parimenti siamo lontani dalla possibilità di usarla in modo sapiente e ragionevole.
Mi spiegherò con pochi esempi pratici. In genere, quando si taglia il prezzo di un farmaco, in realtà non ci si rende conto che si fa della politica industriale. Quando si interviene nel processo regolatorio, non ci si rende conto che si interviene anche sulle dinamiche di mercato e d’altra parte, quando si hanno dei buoni prezzi si fa anche una politica di incentivazione degli investimenti e della ricerca scientifica. Io credo che questa interconnessione sia un po’ la sfida del futuro. 
Recentemente il Papa ha rivolto un monito alle industrie farmaceutiche richiamandole alla necessità di individuare una compatibilità tra i valori economici e i valori etici. I Medici Senza Frontiere, ai quali è stato recentemente attribuito il Nobel per la pace, hanno posto lo stesso problema con riguardo alle grandi malattie infettive del Terzo Mondo. Ieri, alla Conferenza Nazionale della Sanità il cardinale Martini, il Presidente D’Alema, il Ministro Bindi non hanno fatto che parlare di valori etici, di valori scientifici e di valori economici, ed io ne ho ricavato la sensazione che si sia fatto un passo in avanti. Negli anni ‘80 e buona parte degli anni ‘90, la sanità è stata considerata prevalentemente un costo, una spesa ingombrante, gli stessi operatori erano considerati un problema. Già ammettere che questo settore possa costituire un valore di sviluppo, secondo me è importante.
L’enciclica del Papa, la “Centesimus Annus”, con molta lucidità ha posto l’accento sul rapporto tra valori e utilità, proprio quello che incombe sul settore del quale mi occupo. Spesso abbiamo ascoltato pronunciamenti impegnativi sulla negatività del profitto, mentre l’Enciclica ci invita a trovare un equilibrio, anzi, se non ricordo male, sostiene che dalla cooperazione tra valori e utilità scaturisce la virtù e definisce la comunità come virtù, una comunità che deve cooperare. È in questo senso che io credo si debba andare avanti. 
Ancora una volta, però, secondo me i nostri problemi non sono finiti. Esiste ancora il problema di concepire la sanità prevalentemente come un costo, cambiano solo i modi per affrontarlo. Da alcuni anni si parla di razionamento, negli anni ‘80 si facevano i tagli alla spesa; da un po’ di tempo si parla di selezione delle prestazioni; si è introdotto il concetto di essenzialità; si sta parlando di appropriatezza, di evidenza, che sono concetti molto importanti, ma anche di straordinaria delicatezza etica e di grandissima difficoltà epistemica. Credo quindi che i vecchi problemi rimangano e che la tendenza sia nel senso di affrontarli in un modo nuovo.
Noi cosa abbiamo fatto? Tra le altre cose abbiamo inventato una rivista, Keyron, e abbiamo preso come idea base proprio l’interconnessione tra etica, scienza ed economia. La rivista si articola in tre parti, etica, scientifica ed economica e lavora proprio per interconnessioni. Ogni numero ha una parola chiave ed a tutt’oggi ne abbiamo realizzati due, dedicati il primo al benessere ed il secondo, che sta uscendo in questi giorni, ad efficienza ed equità. Per rendere l’idea di come è concepita, spiegherò l’impostazione che è stata data al primo numero. Un signore, che si chiama Benessere, entra in una stanza dove incontra filosofi, scienziati, economisti, con i quali discute; poi esce dalla stanza un po’ trasformato, contaminato dalle cose che ha ascoltato. Il messaggio è che oggi vi è un forte bisogno di approfondimento del pensiero, delle idee. Vi sono idee che rotolano per forza di inerzia per anni, senza che alcuna curiosità critica si soffermi su di esse. Sempre nel primo numero della rivista, abbiamo esordito con un inedito di Amartia Senn, il Premio Nobel dell’economia. 
La nostra è una rivista un po’ particolare, che ospita grandi contributi internazionali. Abbiamo capito che è in atto una trasformazione della nostra tradizionale idea di salute, un’idea nuova sta emergendo, fatta di una domanda di utilità, di beni, ma anche della necessità di affermare delle capacità da parte del malato. L’abbiamo definita vitalità, ragionando molto anche sul trend demografico e su una serie di questioni.
Un’ulteriore idea sulla quale abbiamo lavorato è quella della equità, che nel dibattito è comunemente intesa con la logica della giustizia distributiva. Siamo fermi a venti anni fa, ai primi lavori di Rawls, eppure abbiamo recuperato dei significati molto importanti. Il concetto originale di equità non è tanto e prevalentemente un concetto di giustizia distributiva, ma di aggiustamento, di perfezionamento di una giustizia imperfetta. Aristotele da questo punto di vista sostiene che quando si fanno delle leggi che riguardano la generalità delle persone, inevitabilmente al momento della loro applicazione si scopre il divario tra il generale e il particolare. È allora che bisogna chiamare in campo l’equità, perché vada in soccorso ad un’idea imperfetta di giustizia. Ma discutere di equità in questi termini e non solo in termini redistributivi, come ci ha proposto Rawls in questi anni, ha un significato talmente vasto, che cambia completamente l’orizzonte.
Credo che in futuro le due grandi idee saranno quelle che noi abbiamo chiamato vitalità e  giustizia e ritengo che questo convegno, come testimoniano le sue due parole chiave, impegni sia la scienza che la conoscenza. Esprimo l’avviso che le due grandi idee di vitalità e giustizia, di scienza e conoscenza debbano essere i riferimenti per una forma di informazione più adatta o, come dicono i pragmatisti americani, più conveniente. E la convenienza non è definita solo rispetto al nostro punto di vista, ma rispetto ai contesti, agli interlocutori, ai contenuti e a molte altre variabili.

(*)Direttore Generale Farmindustria

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La sessione istituzionale del 50° Anniversario ASMI (pubblicata sul n. 1/2000)

Sommario del n. 2/2000


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